Quid est veritas?

Quid est veritas?

L’Oxford Dictionary elegge “post-verità” parola del 2016. Il significato è semplice. Nel formare il nostro concetto di ciò che è vero le emozioni prevalgono sui fatti. Il passo successivo è breve. I fatti non contano più. Contano le parole, meglio se condivise da un grande numero di utenti e corredate da un grande numero di “Like”. Del resto Mark Zuckerberg  ha chiesto e ottenuto che Facebook sia considerata una “media company”.

Ma se Facebook è un social media, allora noi utenti di Facebook siamo tutti giornalisti. E poco importa se per diventare giornalisti si dovrebbe fare una scuola, complessa e articolata in una varietà di discipline. Poco importa perchè il pressapochismo, l’approssimazione, (in una parola la cialtroneria), sono il male dei nostri tempi.

Sono uno scrittore per essere andato in tipografia (o su un print-on-demand, online si fa prima), avere speso una bella cifra, e aver fatto stampare il mio bellissimo libro (si va dalle memorie di una vita, alla biografia, al romanzo al saggio, che di saggio ha solo il nome), che qualcuno vanterà come meraviglioso, imperdibile, eccezionale, fondamentale, mettendo in moto quel mercato fiorentissimo di pseudoeditoria da 100 copie di tiratura, che tanto bene fa agli editori a pagamento, poco ai librai, meno al sistema, meno ancora al sistema-cultura.

Sono anche cuoco perchè ho fatto un corso e ho guardato molte puntate di Masterchef. Quasi quasi apro un ristorante. Tanto che ci vuole? Se proprio quel piatto non lo so fare apro un tutorial su youtube e imparo. E se proprio va male, faccio venire Cannavacciuolo e lui mi rimette in pista, con tanto di promozione e lancio sulla tivù satellitare.

In fondo poi sono anche un po’ medico. I vaccini fanno male. Fanno venire l’autismo. Che bisogno ho di una laurea, che quando va bene, richiede sei anni di studi? So che molta gente che si è vaccinata si è ammalata. Altri sono morti. E se anche il fattore di rischio è di 1 caso su 1 milione, se quel 1 su 1 milione fosse mio figlio? No mi dispiace. Io non ci casco. Tanto lo sappiamo bene, le compagnie farmaceutiche ci nascondono la verità per i loro sporchi affari. Ma a me non mi frega nessuno.

 

Nella Repubblica, Platone esaminava l’antagonismo tra la politica costruita sulla verità e la politica costruita sulle emozioni, sul pathos, la patologia (malattia) di quella entità collettiva che lui definisce «un grosso animale». Chi usa le false verità per fare propaganda, di qualsiasi genere essa sia, ha capito come ammansire quel “grosso animale”, e come direzionarne l’opinione. Che in breve diventa verità solida, pur se slegata da qualsiasi realtà di fatto.

In questo modo la democrazia diventa demagogia, e si governa sfruttando ignoranza, pregiudizio, credulità colpevole, passività dell’interlocutore.

L’Italia svetta nelle statistiche per analfabetismo funzionale. Ovvero oltre il 70% della popolazione non è in grado di comprendere il significato di una frase di media difficoltà in italiano. Cioè: legge e non capisce, quindi non è in grado di riassumerne correttamente il significato e allora cosa fa? se lo inventa.

Secondo uno studio dell’ISFOL promossa dall’OCSE su incarico del Ministero del Lavoro, il nostro paese si colloca all’ultimo posto per competenze alfabetiche, e penultimo per competenze matematiche.

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Esercitare il senso critico costa fatica. Accettare posizioni che altri hanno già preso, è più semplice. Mi allineo. Se poi si sono sbagliati, si sono sbagliati loro. Io avevo solo condiviso.

Alla fine la posta in gioco, non è più la verità, ma il potere. Dominio sugli altri, esercitato a qualsiasi livello, dai più alti ai più infimi, per le più varie motivazioni. Vincere le elezioni, guadagnare soldi, affermare la propria superiorità, vincere una contesa – anche solo immaginata, o semplicemente esercitare una rivalsa.

E la verità diventa una cosa superflua.

 

Lo spunto per queste riflessioni mi è stato offerto dall’incontro di ieri sera con Andrea Pau e Daniele Mocci per la presentazione di “The Believers”

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