Catalunya Experience

Un viaggio è poco per fare la conoscenza di un luogo. Bisogna tornare, e tornare, e collezionare dettagli e raccogliere esperienze ed emozioni. E così, pian piano, si comincia a prenderne possesso.

In dieci giorni in Catalogna ho scoperto tante nuove cose, e come da mia abitudine, le ho annotate, un po’ per arricchire il mio quaderno dei viaggi, un po’ perchè so bene che da qui alla prossima volta le avrò dimenticate.

Per esempio. Tutte le parole strane che si leggono in giro per Barcellona, tali da mettere in dubbio la mia memoria e il mio spagnolo alquanto imperfetto, semplicemente non sono spagnolo. Qui alla limba ci credono più che in Sardegna. Non ci sono indicazioni bilingui. C’è solo catalano. Avinguda invece che Avenida. Da diluns a divendres invece che da lunes a viernes. Carrer invece di Calle. Passeig invece di Paseo.

A Barcellona i negozi aprono tardi, e chiudono tardi. I ristoranti hanno le cucine aperte ininterrottamente, come a Roma.

La città è tendenzialmente cara. La metro/bus costa 2.15. Conviene prendere le 10 corse per 9.90 € e passarselo dal tornello.

Il parcheggio è un problema tragico. La tariffa, calcolata al minuto, si attesta attorno ai 0.04 centesimi. Il che significa 2.50€ all’ora quando va bene. Mi riferisco ai parcheggi pubblici sotterranei. Trovare parcheggio per strada è quasi impossibile. I parcheggi verdi sono solo per residenti. I parcheggi blu sono a pagamento con tariffa simile, per un massimo di due ore. I parcheggi gialli sono i carico-scarico. I bianchi (mai visti) liberi. Però il parcheggio si interrompe dalle 13 alle 16 e si parcheggia gratis dal venerdì alle 20 al lunedì alle 9, a parte zone in prossimità delle spiagge, da verificare.

La Sagrada Familia costa 15 euro. Consigliato prenotare giorni prima, via internet. Andando direttamente, è difficile riuscire a entrare; a meno di voler pagare 45 euro, più guida dicono loro, ai bagarini legalizzati.

La Pedrera costa 22 euro; Casa Battlò 23,50. E naturalmente non rientrano tra i Musei gratuiti la prima domenica del mese, come in Italia.

Gli spagnoli come i francesi non usano il bidet. Non portano il pane a tavola, se non su richiesta ed è un pane leggero e vuoto. Solitamente tostato. Più solitamente tostato e col pomodoro (pan con tomate). Il prosciutto (jamon iberico) è vero che è buono, ma non vale quello che costa di media. Non conoscono l’acqua frizzante, a parte la Perrier o l’acqua di Vichy, ovvero 2 euro il mezzo litro. Usano il cucchiaio di legno per mescere la Sangria. Come aperitivo offrono vermuth, e costa poco. Lo spritz, questo sconosciuto. La birra piccola si chiama Caña, se chiedete cerveza ve ne portano una grande. L’ensaimada è un dolce tipico di Maiorca, soffice e arrotolato come una girella, diffuso ovunque e buonissimo. Dicono sia difficilissimo da fare, e che si impasti con lo strutto (attenti vegani…). Come anche è squisita la torta di Sant Joan, che per fortuna non si trova solo per Sant Joan. L’orxata poi non è orzata, ma una bevanda rinfrescante ed estremamente dissetante ottenuta da un tubero che in italiano si chiama zifolo dolce. (La X in catalano si legge C quindi come fosse Orchata). E sempre in tema di equivoci alimentari, la tortilla non è quella specie di piadina alla farina di mais della cucina messicana, ma nient’altro che una frittata, che viene condita con quasi ogni cosa, dalle verdure, alla frutta, alla carne, al pesce. (In Catalogna a quanto mi è dato capire si fa un autentico abuso di uova).

Ah… Gli spagnoli dicono in continuazione la parola “vale“, che sta per “va bene”. Possono ripeterlo dieci volte nella stessa frase. Dopo due giorni là, ci si trova contagiati.

Ultima cosa. Non prescindete da una guida. Barcellona e Catalogna delle guide Chat@win di Rizzoli è validissima, con mappe, percorsi tematici, ristoranti e alberghi, e letture finali.

©EC