E venne il Natale

E venne il Natale

Perfino Novembre, a parer mio il mese più triste dei dodici, ogni volta se ne va. E lascia arrivare Dicembre che gentilmente porta scintille di magia di giorno in giorno, fino a esplodere intorno al 25. 

Io, la magia, l’ho vista da bambina. L’ho vissuta fuori e dentro e lì è rimasta, a crescere con me. Attaccata con tutta l’energia possibile per non scivolare via, impegnata a esplorare sempre nuove vie non potendo, ahimè, tornare su quelle percorse.

È un carico importante, necessario. 

Tra le tante cose che rilucono, ce n’è una che non è un diamante, non è un festone colorato, non è una lampadina intermittente.

Ormai è diventato come un appuntamento fisso, lo aspetto da svariati anni, ogni Dicembre.

Non è un gioiellino ma è come se lo fosse. 

È un libro, naturalmente.

È piccolo, con la copertina bianca e dei cerchietti satinati che riflettono l’esterno. È così che si crea il gioco di luci che pare lo faccia brillare.  

I nomi degli autori sono scritti in nero e il titolo in un bel rosso e ha, da un lato, un disegno un po’ vintage, sempre diverso che ricorda le vecchie cartoline di auguri per Natale.

Sto parlando dei libri della collana “Natale ieri e oggi” della Graphe.it, la casa editrice umbra che recentemente è diventata maggiorenne. 

Dentro queste pagine c’è sempre una poesia, un racconto del passato e un racconto di un autore o di un’autrice del presente. 

(Un po’ come le visite che riceve Scrooge, tolta quella del futuro!)

Quest’anno, la poesia è “Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli.

“suono di chiesa, suono di chiostro, 

suono di casa, suono di culla, 

suono di mamma, suono del nostro

dolce e passato a piangere di nulla”.

Il racconto del passato è dello scrittore e giornalista Paolo Valera, vissuto tra il 1850 e il 1926, che si fa testimone realistico della vita dei più bassi strati socialie ci parla del giorno di Natale dentro al riformatorio di Finalborgo. 

La tristezza di Natale” che si sente in ogni parola ma che lascia spazio a episodi di gentilezza e commozione, insieme a un barlume di speranza.

“Non sono dunque completamente perduti. Credetemi, l’uomo che ha ancora la rugiada del cuore, è ancora un essere redimibile. […]Te lo giuro sull’anima mia: non dimenticherò mai questo momento del Natale in galera. È un episodio che mi resterà nella memoria in eterno. Mi hanno intenerito come un fanciullo.”

Nel racconto di Eleonora Carta, invece, mi rendo conto soltanto ora mentre lo scrivo, il titolo rende l’idea di cosa è narrato e da dove, esattamente, arriva… “Dal profondo”.

Se vi farà lo stesso effetto che ha prodotto in me, vi ritroverete a leggere un po’ guardinghi l’inizio per poi proseguire con curiosità, arrivando a un punto in cui non è più possibile fermarsi e in apnea, seguire una scia di luce fino alla fine. 

E scoprire che no, non è la fine. Anzi.

“Non ho bisogno di respirare e questa non è apnea ma un nuovo modo di essere. Lo stesso, provo la necessità di salire verso l’alto, e con una foga sconosciuta, perché è la mia mente, non i polmoni, ad avere bisogno di aria.[…]

Ascolto la notte e l’unica cosa che mi giunge alle orecchie è il grande respiro collettivo di queste creature che mi abbraccia nel suo inspirare ed espirare e l’aria è colma di calore e del flusso di luce che discende dal cielo[…]

Quello che mi ha lasciato la lettura di questi racconti, in una notte di Dicembre, è la sensazione che molto più spesso di quanto riusciamo ad ammettere, l’essere umano è il peggior carceriere di sé stesso. Sarebbe molto meno doloroso accettare le cose fatte nuove semplicemente per quello che sono: soltanto… nuove.

E mi hanno fatto riflettere sul fatto che certe volte, l’unica, necessaria scelta da compiere è quella di credere fortemente in qualcosa. 

E venne il Natale.