L’eclisse di Laken Cottle. Luce e Buio.

L’eclisse di Laken Cottle. Luce e Buio.

Il 2020 è stato l’anno che tutti sappiamo.

Che ci ha dato in pasto l’illusione di un tempo fermo mentre tutto, in verità, ha continuato il suo ruzzolare in avanti.

Mi rivedo in spiaggia, a metà d’agosto di quell’anno, lontana dalla bolgia con soltanto il mare libero davanti. E un libro.

L’estate che sciolse ogni cosa” di Tiffany  McDaniel. Atlantide Edizioni. Copertina bianco lattiginoso e raggi di sole.

Pagine dense di male eppure così folgoranti nella loro bellezza da riuscire, non solo a non appensantirmi, ma addirittura a farmi intuire la luce. Che ancora mi porto dentro.

Non riesco a farlo quasi mai ma il 2020 risulta più digeribile se categorizzato, etichettato.

Il mio 2020 è anche questo: L’estate che sciolse ogni cosa.

Poi arriva “L’eclisse di Laken Cottle”. 

Copertina nera con luccichii bianco argento in rilievo.

Buio totale.

Ancora da sedimentare ma con urgenza di scriverne.

Ormai ho familiarizzato con la scrittura di Tiffany McDaniel. Sembra che ogni libro sia una porta per la sua anima e di contro, per la propria.

Comunicanti.

Non graffia, affonda.

Credo abbia un dono (e non sono l’unica a crederlo) disarmante nella sua semplicità e vitale, per me: sa raccontare storie.

Chi racconta le storie governa il mondo”, come recita un vecchio proverbio della tribù degli Hopi. 

Laken Cottle e il buio.

Due protagonisti? 

Inizialmente si ha l’impressione di conoscere le vicende di Laken, bambino e adulto, mentre l’oscurità avanza ai lati della storia.

Inghiotte intere città, stati, persone. 

L’immagine mi riporta anch’essa al tempo infausto e incomprensibile che abbiamo vissuto e che continua a imperversare cambiando soltanto modalità di buio.

Dalla Spagna, il buio galoppa come un colossale toro nero in Portogallo, dove la gente sbarra le porte e spranga le finestre credendo così di tenere a bada l’invasore oscuro. Ma questo buio affronta le porte chiuse e i muri resistenti con la stessa facilità con cui falcia il grano in un campo. […] Le donne si fermano, osservano questo buio che rotola verso di loro, i cesti non ancora completati cadono per terra; puntano le dita al cielo nella lingua condivisa della paura.

Ma a un certo punto ci si chiede: cosa stiamo leggendo?

Domanda che rimane marginale perché si viene attratti dal vortice di parole che richiamano immagini nitide quanto bizzarre.

Se stessi raccontando il mio pensiero sul libro ai gruppi di lettura In Libro Veritas dell’ArgoCircolo Letterario, direi che ci ho visto il genio folle di Stephen King, le atmosfere gotiche di Carlos Ruiz Zafón… e qualcuno mi avrebbe risposto che c’è tanto anche di Neil Gaiman.

Nella McDaniel riemergono temi come il forte senso di colpa, la violenza, il male che contamina, la rimozione, l’autonarrazione, la completa solitudine, la domanda senza risposta verso qualcosa di più grande, la ricerca di redenzione, d’amore.

Un bisogno talmente forte, viscerale, da cercarla con gli occhi la luce.

Fissare il sole a occhi nudi significa intravedere la nostra natura mortale. Una luce così potente: possiamo esserne accecati e provare quasi gratitudine. Perché, grazie a quella luce infuocata, stiamo entrando in un regno abitato dagli dèi e dalle creature che respirano fuoco. Esistono poche cose degne come la luce del sole; e mentre Laken fissava quel bagliore intenso, sentì in qualche antica fessura della sua anima la dolce carezza dell’esplosione celestiale. Il sole, una promessa che c’è stata data.

E tutto questo è raccontato con originalità e maestria. Così vivido, vero e brutale da avere un impatto accecante.

Difficile staccare gli occhi dalle pagine. Anche se fanno male, anche se verso la fine saprai dove andranno a parare.

Anche se l’eclisse sarà totale. E permanente.

Questo pensavo quando ho chiuso l’ultima pagina.

Buio.

Invece, ora che scrivo, proprio mentre succede, mi accorgo che ancora una volta, anche questa volta, sono riuscita a trovare la luce che interessa me. E che sono sicura mi leghi in qualche modo a Tiffany McDaniel.

È nell’oggetto rettangolare e profumato di carta che in questi (troppo pochi) giorni ha pesato sulle mie mani, alleggerendo il resto. È in questa frase:

“Di tutte le cose che ci sono state date, proclama il Re Sole a gran voce, ignorando le urla di Laken, di tutte le cose che abbiamo ereditato dal primissimo uomo, è forse la nostra immaginazione, la nostra mente, a essere la più preziosa. Siamo capaci di dipingere un uccello con le nostre mani, ma è con la nostra mente che riusciamo a farlo volare.”

© Erika Carta