Figlia del temporale

Figlia del temporale


Una volta che le hai lette, le storie che racconta Valentina D’Urbano, le puoi chiamare per nome. 

Nadir e Celeste , Andreas e Neve, Beatrice e Alfredo.

Hira. E dici tutto.

Astrit, e tutto è lì. 

Non ero scettica ma intimorita da questo nuovo romanzo.

Avevo un po’ paura di non trovarla, Valentina, tra queste righe.

Altroché.

Sapevo anche però, che avrebbe toccato profondità diverse, solo non immaginavo quanto.

Una copertina “talmente bella da fare male” come ha detto la mia amica.

Un titolo evocativo: “Figlia del temporale.”

Io, che dei temporali ho terrore, ho capito subito che questo ce lo avrei avuto dentro.

E così è stato. 

La tensione costante, il lampo di luce che erroneamente fa chiudere gli occhi un secondo troppo tardi e così, il tuono che arriva si sente amplificato. Gli squarci di cielo e sollievo quando le nuvole si allontanano.

Hira è una bambina che vive in Albania, nella città di Tirana. La casa dove vive crolla su se stessa portandosi via radici e storia.

Ci si finisce immediatamente, dentro i suoi occhi, a scorgere lo smarrimento e il coraggio che l’accompagneranno per il resto della storia.

Viene portata nella casa sui monti a Nord del paese, dagli unici parenti che se ne possono occupare: zio Ben, zia Leda e i loro figli, Danja e Astrit.

Astrit è bambino e silenzio. È ragazzo e gestualità. È uomo ed è voce di montagna. 

È lupo.

Lassù, la vita ha regole tutte sue, immutate e immobili, a cui Hira si abitua con il tempo fino a farle pienamente sue.

Astrit, invece, segue il ritmo del cielo, della terra sotto i suoi piedi leggeri; si muove agile nel buio fitto del bosco, parla il linguaggio della natura. 

Hira e Astrit si comprendono, si cercano, si tengono in uno spazio accessibile a loro soltanto.

Perfino quando Hira prenderà la decisione che cambierà per sempre il corso della sua vita, quando l’unico modo per rifiutare un matrimonio combinato è diventare una burrnesh, una vergine giurata.

Tutte quante, tutte. Dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa. Dobbiamo sempre spezzarci in qualche punto. Intere non andiamo bene, intere non ci possono sopportare, non è vero?”

Diventerà Mael, uomo nei modi di fare, di vestire, uomo per la comunità.

E non sarà il solo uomo a dover fare i conti con questa femminilità imprigionata.

Ero solo. Né uomo né donna, entità sperduta e irriconoscibile, creatura libera.”

Anche questa volta Valentina D’Urbano è riuscita a puntare la sua luce su una realtà sconosciuta ai più, cucendoci intorno le vite di di due personaggi che si staccano da lei per attaccarsi a noi, che avidi ne leggiamo.

Un romanzo che emoziona nel profondo e che lascia, alla fine, due parole a fior di labbra.

Hira.

Astrit.