Era la prima sera, al Big Blue Festival, Venerdì 8 Agosto.
Tutto era sistemato e avviato, ogni cosa al suo posto.
Mi sono presa un piccolo momento, solo per me, ognuno di noi può farlo quando ha la certezza di lasciare il resto nelle mani degli altri Argonauti. Ho deciso di allontanarmi nell’imbrunire, distante dal vociare festoso dell’ingresso, verso la scritta silenziosa “Big Blue Festival” con le lettere bianche e blu.
Volevo curiosare, alla mostra, visto che non mi era stato possibile presenziare all’apertura.
Non lo so, penso di essere stata chiamata dalla voce invisibile di quella stanza, in quel preciso istante.
Se l’idea che stava alla base di chi ha creato l’installazione era quella di donare ai visitatori un’esperienza immersiva, beh… ha centrato in pieno l’obiettivo.
Si tratta di un’installazione nello spazio a cura di Casa Falconieri, nello specifico di Gabriella Locci, con la partecipazione di Daniela e Francesca Manca.
Casa Falconieri, di Gabriella Locci e Dario Piludu, è un centro di ricerca artistica con sede a Dolianova, attivo dal 1992.
Ospiti alla decima edizione del Big Blue Festival, hanno voluto creare questo viaggio sensoriale tra arte, mare e memoria, pensandolo su misura degli spazi nella Sala Corpus, il cuore dell’Antica Tonnara di Su Pranu a Portoscuso.
Scostata e richiusa la tenda nera appesa alla porta, mi sono ritrovata a essere l’unica persona presente nella Sala e non avrei potuto desiderare di meglio.
Sono stata trascinata nell’immediato da una sensazione di attrazione e allo stesso tempo di calma apparente che mi ha permesso di avanzare tra le architetture antiche della Tonnara e l’arte contemporanea che ne ha riempito gli spazi, con cognizione.
Una perfetta esaltazione visiva, uditiva e sensoriale del grande blu.
La pesca con le reti, la storia del luogo, l’incessante rapporto tra uomo e mare, i fili rossi del sangue che sono vita e morte; le opere di grande prestigio artistico che lasciano spazio all’interpretazione e che a me hanno suscitato nel profondo l’idea di luce e oscurità, di grandezza, del mare che sa essere infinito e rifugio.
Mi sono sentita isolata e allo stesso tempo parte integrante della mostra e dell’immenso.
Pochi minuti di viaggio in pochi metri di “terra di maree” che, tra le altre esperienze del Big Blue Festival, hanno arricchito dí moltitudine, ancora, la mia anima.