Le Janas di Montevecchio

di Claudia Aloisi

Ci sono incontri che segnano, momenti che restano nel cuore e non si sa spiegarne il motivo. La presentazione della professoressa Iride Peis Concas con il suo “Le Janas di Montevecchio” è stato uno di questi incontri, uno di questi momenti.

Nella bella cornice di Piazza Municipio a Iglesias domenica 4 ottobre abbiamo ascoltato i racconti sulle janas, le leggendarie fate sarde, creature antiche e misteriose, dispensatrici di fortuna, ma anche permalose e talvolta temibili.

Una raccolta di storie, corredata da splendide tavole dipinte, che ha incantato per lo spazio di un’ora, lasciando in chi ascoltava la nostalgia di un mondo passato ma ancora vivo. Abbiamo assaporato il potere della parola che evoca l’essere umano nelle sue vicende di amore, morte, vita. Abbiamo scoperto un’eredità preziosa che si snoda nel tempo, e che va consegnata anche ai più giovani perché non si perda. Abbiamo colto la forza che attraversa l’esistenza e che anche nel dolore più duro consente di continuare.

Se davvero le janas esistono e talvolta si avventurano tra noi, Iride Peis Concas è una di loro: con grazia ammaliante ha tessuto storie preziose, piacevoli, commoventi. E non avremmo voluto smettere mai di ascoltare.

La parola crea mondi: anche fatati, ma antichi e veri come l’uomo.

Leggere parole dal Medioevo

di Claudia Aloisi

Sabato 3 ottobre, dieci del mattino, Teatro Electra di Iglesias.
Con la dottoressa Daniela Aretino il tema della Fiera del Libro, “La parola crea mondi”, si riveste di Storia.
In una masterclass di quasi tre ore intense e appassionate, la Daniela ha illustrato il celebre “Breve di Villa di Chiesa”, documento storico di eccezionale importanza che racchiude in quattro libri le leggi e le norme in vigore a Iglesias almeno dal 1327.
L’allusivo sottotitolo del corso, “Leggere parole del Medioevo”, giocando sugli omografi “lèggere e leggère”, ha suggerito la possibilità di restituire connotati più lievi, e forse più realistici, a quel periodo maltrattato e talvolta frainteso che è il Medioevo.
Nel cuore della masterclass, le parole: metterle al centro come specchio di vita, analizzarle e capirne origine e significati, intuire il sostrato culturale di chi le utilizzava. Sulle parole, e con le parole, si è anche giocato, in quel misto di levità e cura che appartiene a chi ama profondamente il suo lavoro ed è capace di trasmetterlo.
La dottoressa Aretino è entrata con grazia nei dettagli dell’etimologia e dell’uso di numerosi termini presenti nel Breve nei diversi ambiti giuridici: dai crimini, alle regole del commercio, alla vita in miniera.
Da questo attento esame della lingua tra presunto pisano, sardo, latino e persino antico tedesco, sono emerse alcune evidenze interessanti: in primo luogo la “modernità” delle norme citate, che mostrano attenzione alla realtà del territorio e un insospettabile, attualissimo senso civico. Ma soprattutto questo studio delle parole ci restituisce in modo vivido la temperie storica, sociale ed emotiva degli uomini di sette secoli fa: magaluffo era la mancia dovuta all’incantatore di aste, ombraco la tettoia, derratale un’unità di misura per il vino, guelco il capo della fonderia.
E pareva quasi di vederli, questi uomini, passeggiare per Villa di Chiesa, alle prese con le loro beghe quotidiane, i loro crucci e le loro soddisfazioni. Come se, ripetendo quelle sillabe, quei suoni antichi, potessimo far rivivere ciò che le persone di quel tempo sperimentavano e provavano.
Ancora una prova, se fosse necessaria, che “la parola crea mondi”: anche quelli passati.

La misura eroica

La misura eroica

“Indicibili sono i colori dell’acqua, perché non si può chiamare per nome  la luce che l’accende di giorno – trasparente, blu, cristallo, perla – e la spegne di notte – nero, vino, luna”.

Il mare. 

Così lo descrive Andrea Marcolongo nelle prime pagine de “La misura eroica”, e così lo ritrovo ogni volta che ho il primordiale bisogno di andare a guardarlo, figlia della mia isola.

Lo vedo perfino ad occhi chiusi o quando bene aperti, ne leggo.

In queste duecento pagine circa, la Marcolongo racconta “il coraggio che spinge gli uomini ad amare” (nel senso più ampio del termine, aggiungo io) e lo fa attraverso due storie, amalgamate tra loro con tenera maestria.

Ogni capitolo si apre con un breve pensiero tratto dal manuale in lingua inglese del 1942: “How to abandon ship”, dove l’autrice scorge l’importanza di resistere ai naufragi della vita, piuttosto che fuggire, abbandonare.

La tua nave è progettata per resistere alle tempeste più di quanto lo sia tu, marinaio”.

Il passo poi è lasciato a una grande storia, un mito greco che risale all’età micenea.

Racconta di Giasone, giovane ragazzo figlio di Esone che fu re della città di Iolco, che pur di sottrarre il trono al malvagio zio, Pelia, accetta la sua sfida: “Và alla ricerca del vello d’oro. Vediamo se ci riesci”. 

Era bastato questo a muovere, nella profondità dell’anima, la sua voglia di partire, tralasciare la sicurezza della terra madre per cercare altrove e tornare, dal viaggio, diverso. 

Altri cinquanta giovani vollero seguirlo nell’impresa.

D’altronde è a noi chiaro che superare quella soglia significava crescere, maturare, ad ogni modo. Muoversi.

E, come un Peter Pan al contrario, restare fermi avrebbe significato rimanere eternamente giovani, ignari. 

Quei ragazzi pronti a salpare furono per sempre chiamati con il nome della nave cui avevano scelto di appartenere: Argonauti”.

[…] Fu allora che, per la prima volta nella storia dell’uomo, una nave, scivolò dentro il mare […]

La nave era femmina e sotto la prua, nella chiglia, aveva intagliato il viso di Atena, colei che l’aveva costruita, non certo perché rimanesse ferma in porto.

“La nave Argo era bellissima. Argo era stata fatta per navigare verso l’ignoto, e poi tornare a casa”.

Questa frase mi riporta inevitabilmente a un’altra, nata dalla penna di T.S. Elliot:

“Non smetteremo mai di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare, ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”. Motto, se così vogliamo chiamarlo, che mi è entrato dentro radicando ancora più profondamente la consapevolezza che ogni passo è, a sé, un viaggio. E che mai torneremo uguali a come siamo partiti. Si tratta di prospettive.

“Nel mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno…” 

Lo so, questo articolo è un continuo richiamo, da una citazione a un’altra. Ma è la mia spirale emotiva, piena e aperta.

Non credo di fare spoiler se dico che Giasone tornò eccome nella sua Tessaglia, con il vello d’oro, mutato per sempre nel profondo del suo essere, da ogni avventura vissuta per mare e nelle altre isole, con le persone. Insieme a Medea.

La misura eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato”.

E certo, nulla sarebbe stato possibile se non fosse stato per l’amore: la più grande forza, unica e necessaria a muovere ogni cosa. 

E a chi, stolto e apatico dice è impossibile, la Marcolongo risponde:

“Se solo non ci dimenticassimo che un tempo siamo stati Argonauti cui nulla importava se tutti dicevano è impossibile, per noi non solo era possibile, ma doveroso. Avevamo urgenza, bisogno di provare per poi vivere”.

D’altronde “fallire non significa non inciampare mai, ma scegliere di restare a terra”.

Questo mito senza tempo ha incantato gli uomini di ogni epoca. 

Nel 1382 un ordine segreto di rivoluzionari anarchici comparve a Napoli facendosi chiamare gli Argonauti di San Nicola.

Nel 1945 la conferenza di Yalta che pose fine alla seconda guerra mondiale fu inizialmente denominata La conferenza degli Argonauti.

Nello sport il club dì football con il nome originario più antico nel Nordamerica fu coniato nel 1873: i Toronto Argonauts.

Diverse navi hanno preso ispirazione dalla prima Argo, per i loro nomi, compreso il primo sottomarino della storia.

E poi ci siamo noi. 

“Come sinonimo di squadra, di solidarietà e di coesione tra amici”.

A bordo della nostra nave che solca questo mare sempre mutevole,  un po’ Argo un po’ Nautilus

Ogni giorno, a partire dalle vele srotolate di Argo, ci mettiamo per mare affrontando venti e tempeste per arrivare a riva, ovvero per diventare diversi da come siamo partiti, superando la linea d’ombra e varcando la nostra soglia.

[…] Non stai forse navigando anche tu, come tutti noi, umani e contemporanei Argonauti , attraverso i mari che ci separano dall’essere grandi, a qualunque età?