Leggere parole dal Medioevo

di Claudia Aloisi

Sabato 3 ottobre, dieci del mattino, Teatro Electra di Iglesias.
Con la dottoressa Daniela Aretino il tema della Fiera del Libro, “La parola crea mondi”, si riveste di Storia.
In una masterclass di quasi tre ore intense e appassionate, la Daniela ha illustrato il celebre “Breve di Villa di Chiesa”, documento storico di eccezionale importanza che racchiude in quattro libri le leggi e le norme in vigore a Iglesias almeno dal 1327.
L’allusivo sottotitolo del corso, “Leggere parole del Medioevo”, giocando sugli omografi “lèggere e leggère”, ha suggerito la possibilità di restituire connotati più lievi, e forse più realistici, a quel periodo maltrattato e talvolta frainteso che è il Medioevo.
Nel cuore della masterclass, le parole: metterle al centro come specchio di vita, analizzarle e capirne origine e significati, intuire il sostrato culturale di chi le utilizzava. Sulle parole, e con le parole, si è anche giocato, in quel misto di levità e cura che appartiene a chi ama profondamente il suo lavoro ed è capace di trasmetterlo.
La dottoressa Aretino è entrata con grazia nei dettagli dell’etimologia e dell’uso di numerosi termini presenti nel Breve nei diversi ambiti giuridici: dai crimini, alle regole del commercio, alla vita in miniera.
Da questo attento esame della lingua tra presunto pisano, sardo, latino e persino antico tedesco, sono emerse alcune evidenze interessanti: in primo luogo la “modernità” delle norme citate, che mostrano attenzione alla realtà del territorio e un insospettabile, attualissimo senso civico. Ma soprattutto questo studio delle parole ci restituisce in modo vivido la temperie storica, sociale ed emotiva degli uomini di sette secoli fa: magaluffo era la mancia dovuta all’incantatore di aste, ombraco la tettoia, derratale un’unità di misura per il vino, guelco il capo della fonderia.
E pareva quasi di vederli, questi uomini, passeggiare per Villa di Chiesa, alle prese con le loro beghe quotidiane, i loro crucci e le loro soddisfazioni. Come se, ripetendo quelle sillabe, quei suoni antichi, potessimo far rivivere ciò che le persone di quel tempo sperimentavano e provavano.
Ancora una prova, se fosse necessaria, che “la parola crea mondi”: anche quelli passati.

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