Capire è saper riesporre
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Questa frase viene ripetuta due volte a distanza ravvicinata, per rafforzarne il concetto, nelle ultime pagine de “Assassinio all’isola di San Pietro”, la nuova indagine di Alvise Terranova, per conto del suo autore e creatore: Antonio Boggio

Mi ha colpita parecchio, perché ho pensato che si può trasporre a tante situazioni: allo sbrogliarsi di un’indagine, appunto, o alle interrogazioni a scuola come ricorda e sostiene lo stesso Alvise.

E a più ampio spettro, alla vita in generale, aggiungo io. 

Quante volte, un pensiero che coviamo dentro di noi, diventa reale soltanto nel momento in cui lo esponiamo a voce alta? E di contro, quanti ne serbiamo nascosti, non detti, proprio per la paura che altrimenti si trasformino in verità di fatto?

Ecco, Antonio Boggio, al di là della trama gialla classica ben costruita con al centro un crimine, il protagonista che indaga, le false piste per tenere i lettori sulle spine e infine la verità, la soluzione, il colpevole smascherato, fa anche un altro lavoro che non sempre è facile e soprattutto non è scontato né banale: sposta l’indagine dentro le vite dei personaggi che si muovono di pari passo con quella ufficiale. 

Ci troviamo qui, al suo terzo romanzo ambientato a Carloforte, l’isola nell’isola che si trasforma ancora una volta in teatro a cielo aperto dove va in scena un nuovo mistero da risolvere. 

Ci muoviamo tra passato e presente, vogliamo sapere se l’orologiaio e gioielliere, Cristiano Galileo, si sia veramente tolto la vita o chi, per lui, abbia compiuto l’insano gesto.

Inventare storie dovrebbe essere come avere quotidianamente il pane in tavola per uno scrittore, ma saper scandagliare i dettagli profondi e talvolta scabrosi dell’animo umano e raccontarli poi a chi legge, in modo solo apparentemente semplice, è una marcia in più. 

Considerando pure che l’ambientazione, se non saputa leggere con empatia e sensibilità può diventare limite. Ma non è questo il caso. Nei romanzi di Antonio Boggio, Carloforte si fa protagonista stessa tra le pagine, nella sua totalità di paesaggi e persone.

“Alvise sollevò gli occhi e si guardò intorno. Quell’angolo di piazza era fresco, anche d’estate; l’ormai anziano Ficus robusta offriva un’ombra ristoratrice. Sulle panchine che circondavano le quattro aiuole, alcuni anziani si godevano la bella giornata, chiacchierando, lasciando che la vita si svolgesse attorno a loro. Gli schiamazzi dei bambini giungevano nitidi. Di tanto in tanto una pallonata li faceva sussultare, come lo sparo di un cannone.”

Inoltre, il protagonista, Alvise Terranova, è il primo personaggio a essere analizzato nella sua tridimensionalità.

“Sentì un impulso nascere dallo stomaco e salire come sangue fino al cervello. Era un sentimento caldo, familiare: una sorta di malinconia rumorosa che si impossessava di lui e faceva un sacco di baccano nella sua testa.[…]

A tratti, provava compassione per l’assurdità dei suoi pensieri ma quella era la sua dannazione, una maledizione che talvolta gli faceva preferire il rotto all’intero.”

Preferire il rotto all’intero, un bellissimo passo che fa riflettere e ci ricorda ancora una volta che dentro ognuno di noi il bene e il male non sono concetti fermi, nettamente delineati, univoci.

È quello che poi ci muove, a contatto con gli altri, a fare la differenza.

Erika Carta