Fiera del Libro 2023 “Mappe”

Fiera del Libro 2023 “Mappe”

Dal 17 al 21 aprile negli Istituti scolastici partner di Argonautilus
Dal 22 al 25 aprile nelle piazze del Centro Storico di Iglesias
Con un ricco calendario di appuntamenti in tutti gli altri comuni partner: Gonnesa, Portoscuso, Villamassargia, Domusnovas

La meraviglia

La meraviglia

Si dice che bisogna farle sedimentare, le emozioni.

Elaborarle, lasciarle raffreddare. 

Ma perché?

La mia urgenza è tutta contraria: trasferirle immediatamente sul foglio, impresse così come sono ora, vive e vivide. 

Avranno il tempo di depositarsi assieme a tutte le altre, di mutare in forme che al momento mi sono sconosciute.

La Fiera del libro 2022 di Argonautilus si è conclusa da poche ore. 

Il primo giorno sembra sia stato ieri e già lontano un mese. 

Del tipo: “Ti ricordi quando Dario Fabbri, analista geopolitico, è venuto a parlare al Teatro Electra?”

A conclusione delle prime ore di una Fiera che è esplosa in tutta la sua meraviglia annunciata.

Nulla da togliere a un tramonto sul mare, a un bel paesaggio ma, come ci ha insegnato Lino Fioretto, nella Lectio Magistralis su Fedor Dostoevskij, la meraviglia è altro. È qualcosa di molto, molto più profondo che passa per il buio, per il dolore; che prende forma nella penombra e nel silenzio.

Uno stato verso cui protendere continuamente, come per la felicità. 

Così sostiene il professor Andrea Maggi che, come Sara aveva previsto, ci ha fatte commuovere raccontando di amore e di rabbia.

Meraviglie, come Sylvia Plath e Gae Aulenti, raccontate da Antonella Grandicelli e Anna Rita Briganti.

O come le donne fatte di muscoli tendini e cuore, che si sono guadagnate la pista alle Olimpiadi per correre a fianco degli uomini e che hanno permesso alla meravigliosa Andrea Marcolongo, di tornare alla nostra Fiera per raccontarci anche la sua, di corsa incontro alla vita. De arte gymnastica.

Francesco Abate, Wu Ming, Antonio Manzini e Stefano Mancuso… meraviglie della natura.

Flavia’s end… intramontabile e che speriamo possa presto vivere di nuova vita attraverso gli occhi e il lavoro del regista americano Anthony La Molinara.

Saremo tutti alla prima fila con la maglietta Argonautilus a sostenere la nostra Claudia Aloisi.

I festival gemelli e gli amici dei festival, base dei nodi di questa rete, sempre più robusta.

Aldo Dalla Vecchia, Letizia Vicidomini, Marco Belli. Rete Pym.

Ospiti come Matteo Giusti,  che ti viene naturale salutare come se, trascorso un anno, rivedessi un vecchio amico.

La poesia che ci ha incantati tutti nei pressi di un vicolo, facendo volare il pensiero in alto, più in alto di questa terra.

È poi arrivato un momento che ha ridestato in me ricordi ancora caldi, appena conservati in un posto speciale nel cuore.

La Sicilia.

E questo ponte immenso con la Sardegna che si rinsalda ogni volta che è possibile ma anche da lontano. Giorno per giorno.

Il collettivo Sicilia Niura che narra in modi infiniti i volti infiniti di una terra sorella. 

Il mio amico Rosario Russo che ci tiene da morire e non esita a dimostrarlo. Che racconta di sé, dei suoi personaggi e luoghi ma anche dei suoi legami, rendendo tutto più vicino e meravigliosamente umano. E a cui vorrei dire che non ho mai letto così tanti gialli uno appresso all’altro, in vita mia, come da quando converso con lui di letteratura. E gli sono grata per i consigli di lettura, preziose scoperte.

Gaudenzio Schillaci che siccome, “la felicità si racconta sempre male”, ci pensa lui a sviscerarla con parole affilate. Le stesse che certe volte si ha necessità di attraversare a fondo, per comprendere la meraviglia. 

Alfio Grasso che mi ha fatto letteralmente piangere dalle risate e che, con la sua casa editrice Algra porta avanti un grande progetto trovando il suo meraviglioso posto fermo in mezzo all’immensità di questo mare.

Alosha Giuseppe Marino. Il primo danzastorie che abbia mai conosciuto. L’unico. 

Alosha che racconta senza parlare, che comunica, diverte, commuove. 

Professionalità e bontà d’animo, espressività e movimento.

Alosha che mi ha fatto regalo immenso, danzando in uno dei miei posti del cuore. Ancora sono incredula che sia accaduto veramente ma è proprio questo, l’effetto che fa: realtà sospesa, magia. Meraviglia.

Con attorno queste persone e con Antonio Pagliuso, autore, e Mattia della casa editrice Wom, mi sono trovata seduta in una sedia al centro del palco, al parco S’Olivariu, luogo che continua a regalarmi emozioni.

Ho moderato la tavola rotonda “Ponti di libri”. Un sogno, fatto di giorni d’ansia prima e grande soddisfazione, dopo. 

Una domenica importante che mi ha vista impegnata in prima persona anche con ArgoCircolo Letterario e tutti i gruppi di lettura dei diversi comuni. Persone presenti, davvero. Presto inizieremo la nuova avventura di quest’anno che ci vedrà partecipare una volta al mese ai nostri amati incontri e confronti di lettura.

Meraviglia è il pubblico che ci ringrazia per aver avuto la possibilità di partecipare a questi eventi carichi di bellezza. Ed è anche l’ospite che ci dice grazie, a sua volta. E che vuole tornare.

Sono sempre più orgogliosa o meglio, Fiera, di essere parte integrante e integrata di questa squadra Argonauta, che è la mia vera vera meraviglia. 

Che mi ha fatta nascere di nuovo e mi fa crescere sempre, come piace a me… dentro il mondo che mi appartiene.

I miei compagni di viaggio sono quanto di meglio potessi immaginare mentre camminiamo spediti con una sedia in mano, un mazzo di chiavi da consegnare, un ospite da far entrare in questo gruppo così meravigliosamente squilibrato e compatto. 

Perché mentre tutto accade, ci guardiamo, sorridiamo, ci abbracciamo, tendiamo due mani (che se potessimo ne tenderemmo anche tre o quattro). Ci fermiamo e ridiamo. 

Li ho lasciati per ultimi ma non smetterò mai di ribadire che senza Eleonora e Maurizio, tutto questo non esisterebbe. 

Siamo i primi a credere che la meraviglia non solo sia possibile… ma che sia l’unica cosa che ci salverà. 

Erika Carta

Cuori selvaggi e Meraviglia

Cuori selvaggi e Meraviglia

Il salone non ha un pubblico. Il salone ha una comunità.”

Nicola Lagioia, Direttore Editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Io sono uno dei centosessantottomila e settecentotrentadue cuori selvaggi che, dal 19 al 23 maggio, si sono incrociati sotto e oltre il cielo del Lingotto.
Ho macinato chilometri dentro questa comunità.
Un battito dopo l’altro a distanza dalla paura.

Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo.
Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura
.”

Chandra Livia Candiani

A proposito di meraviglia.
C’è un motivazione se la mia esperienza al Salone Internazionale del Libro di Torino, si compie nuovamente, per la terza volta.
Questa motivazione si chiama Argonautilus.

Argonautilus, l’Associazione Culturale che dal 2015 lavora ogni giorno per fare e diffondere cultura, organizzando la Fiera del Libro e la Fiera Off a Iglesias, Portoscuso, Gonnesa e da quest’anno anche a Musei, Villamassargia e Domusnovas.
L’Associazione che ha al suo interno una Spa dei libri, lettori ad AltaVoce e un Circolo Letterario con gruppi di lettura che crescono nel tempo e nello spazio.
Una promessa sancita nel Patto di Lettura alla Fiera del Libro, nel 2018.
Il nodo di una rete che oggi si chiama Rete PYM e che sabato, 21 maggio, ha portato il suo contributo alla comunità del Salone del Libro, con l’evento “Fiere e Festival del libro: una leva strategica di sviluppo dei territori”.
Insieme a Eleonora Carta e ai rappresentanti delle Istituzioni del Comune di Iglesias, l’autore Marco Belli, Direttore Artistico di Elba Book Festival; Manuel Figliolini in rappresentanza del Festival Giallo Garda e Luca Occhi di Officine Wort.
Ultimo gemellato della Rete, anche il Microfestival delle Storie.

In anteprima assoluta, è stata presentata la locandina della VII^ Edizione della Fiera del libro di Argonautilus che si terrà dal 29 Settembre al 4 Ottobre, illustrata da Daniele Serra e che ha come tema unificato con i Festival gemelli, “La Meraviglia”.

È stato un incontro partecipato che ha messo in parole l’importanza di collegare energie, risorse e passione, necessarie e urgenti, per far sì che gli intenti condivisi dalla Rete si diffondano dentro e fuori i territori.
D’altronde, a far parte di questa comunità, sono anche tutti quei soggetti che al libro sono legati da vicino: autori, editori, biblioteche, librerie, scuole, lettori.
E oltre alla valenza sociale ed economica, non ci si può proprio esimere dal parlare di ricchezza personale.
Quella di cuore.
Come ha sottolineato il giovane scrittore, Matteo Porru, viaggiare per prendere parte a un evento culturale, ti permetterà sempre di portare un po’ di casa in partenza e pezzi di mondo al rientro.
È un circolo.
E fa un bene inimmaginabile.

Alla domanda: “Cosa ti porti a casa da questo Salone?” Dunque rispondo che, a casa mia, porto libri, dolore ai polpacci, sorrisi nuovi e abbracci noti, paure limate e una felicità selvaggia.

E poi, comunque, anche un banner:
“Salone Internazionale del Libro Torino.
13
ARGONAUTILUS.
La meraviglia.”

© Erika Carta

Breve storia del romanzo poliziesco

Breve storia del romanzo poliziesco

Le brevi storie di cui Graphe.it ci fa dono sono un po’ come le giornate che sembrano primavera a febbraio.
Inaspettate e luminose, vorresti non finissero tanto presto. 
Ma come insegna la frase che dà voce alla collana: parva scintilla magnum saepe excitat incendium. 
Una piccola scintilla.
Breve storia del romanzo poliziesco. Leonardo Sciascia.
Impreziosito da un’introduzione di Eleonora Carta.
C’è un filo che li lega, perché conosco Eleonora e sono certa che come Sciascia, ha avuto “un’adolescenza e una prima giovinezza trascorse in compagnia della vorace lettura” di gialli.
Che sempre continua, affiancando il suo lavoro di autrice.
In veste analitica, in questo breve saggio, ci introduce alla storia del romanzo poliziesco, segnalando il punto di confine su cui Sciascia opera magistralmente.
Non più il giallo declassato a mero passatempo, a “meditazione senza distacco” ma “uno strumento d’elezione per raccontare la società e i suoi mali.”
Cuore delle riflessioni di Sciascia, che si aprono qui con un ritratto di Giacomo Putzu, l’assunzione di significati del poliziesco, nel tempo e nello spazio. 
Analisi, denuncia, persino frustrazione. 
Pensiero critico.
Tutt’altro che lettura passiva. 
Il ruolo dello scrittore che inizia a cercare attivamente la verità, identificandosi con il personaggio tanto da riconoscere eguali il metodo di indagine e il metodo di scrittura, come per esempio in Maigret e Simenon.
Da Poe a Christie, da Chandler a Spillane, l’evoluzione delle figure di investigatore e aiutante, di poliziotto e delinquente. Personaggi che diventano “tipi”.
Personalmente, mi ha colpito tantissimo il paragone con le maschere delle commedie d’arte.
Ma se dovessi riportare ogni cosa che ha fatto breccia in me, vi racconterei il libro con parole tutte mie e non ne varrebbe la pena. 
Perché ci hanno pensato Leonardo Sciascia, Eleonora Carta, Giacomo Putzu con la sua arte e la la Graphe.it a liberare questo concentrato di bellezza e conoscenza.
Di meraviglia.

© Erika Carta

Un altro Natale

Un altro Natale


“Un altro Natale” è il titolo del libro edito da graphe.it, in questo 2021 per la collana di narrativa “Natale ieri e oggi”.

Un titolo dove la parola “altro” ha due connotazioni, come ha raccontato Roberto Russo della casa editrice.

 “Un altro Natale, che stress!” 

Oppure “Un altro Natale, e meno male!”

Personalmente propendo verso la seconda. A dicembre, come a maggio, a febbraio, a settembre.

Natale è uno stato d’essere.

Due storie, una vecchia e una nuova, che raccontano la fame.

Perché, sarà il primo vero freddo dell’anno, saranno i profumi intensi, sarà che vorremmo essere scaldati dalle luci colorate e dalle tovaglie rosse… ma a Natale la fame aumenta. 

Sia essa del cibo, come quella narrata da Ferdinando Paolieri nel racconto “Il Natale di Granfialunga” , o quella d’affetto raccontata da Susanna Trossero in “Tutti gli Alfredo del mondo”.

Avventura, rischio e riscatto per i Granfialunga sullo sfondo della campagna toscana negli anni 20. 

Maestria, giochi di parole e tenerezza per il protagonista della Trossero.

Filo conduttore: la speranza, quella che è difficile mantenere tutto l’anno ma che la notte di Natale torna viva, forte e chiara a farsi sentire.

E trovarla appagata dentro un libro fa star bene anche fuori.  

©Erika Carta

Effetti collaterali

Effetti collaterali

Due cose mi sono bastate per comprare “Effetti Collaterali”, la raccolta di sei storie niure di Rosario Russo, edito da Algra Editore per la collana Sicilia Niura. 

Una è stata sentire come parla del mare.

L’altra è che, alla Fiera del libro, mentre una voce di donna dal terapeutico accento siculo leggeva le sue parole, io le vedevo grazie ad Alosha (Giuseppe Marino), il danzastorie di Sicilia che le ballava.

Ma non solo. Oltre a questo, dentro la mia testa si creavano in contemporanea immagini come se stessi leggendo le pagine da me.

Non so se sono riuscita a spiegarmi ma è difficile, perché è stata un’esperienza pazzesca.

Il libro di carta che ho tra le mani è la prova tangibile di tutto questo. Una sorta di memorandum della bellezza che ho vissuto.

I suoi racconti di genere sono come voci, finite e compiute, di un unica grande storia.

E che storia è questa?

È la storia di una Sicilia così come immagino sia.

Fatta di persone. 

Piena di mare, di cultura, del profumo di limoni, caffè e cartocciata di melanzane

Attraversata dall’arte, dalle parole di illustri scrittori. Dalla mafia, dalla vita e dalla morte.

Come ho potuto leggere nell’appassionata postfazione di Salvo Sequenzia, “Russo si interroga mettendo l’accento sull’impossibilità di spiegare il perché delle ragioni del male e della morte”.

È vero. 

Eppure il suo modo di narrare ha qualcosa di leggero. Che attenzione, non vuol dire superficiale. Anzi. Trovo sia un valore aggiunto. Il buio mitigato dalla bellezza del mondo, dal senso di appartenenza al territorio, alla città di Acireale, alle sue storie magiche. 

Dalla voglia di dircelo.

Leggero ma di una profondità sentita e contagiosa.

La scrittura di Rosario è asciutta, pungente, misteriosa.

I personaggi sembrano raccontarsi da sé, sono schietti, perfettamente delineati dal proprio parlare, muoversi, pensare.

E leggendo, io ho trovato il mio personale comune denominatore di queste sei storie nere: l’amore.

Si cunta ca u pasturi 

assai vuleva beni 

a Galatea, e pi idda 

assai ni visti peni

ma n’da l’occhi si vardavunu

di veri ‘nnamurati  

©Erika Carta

Confessioni di un omosessuale a Émile Zola

Confessioni di un omosessuale a Émile Zola

“Vivo una vita fittizia e mostruosa, ma la mia esistenza non è quella di un privilegiato? Sono a tratti perfettamente felice e tranquillo, ma in altri momenti non lo sono affatto e vorrei qualcosa di nuovo e non so dove trovarlo. Ah! Perché la natura non ha dato all’uomo almeno dieci sensi? Cinque sono troppo pochi, a cosa possono servire? Dio! Quanto mi annoio.”

Non ci riconosciamo un po’ tutti in questa frase?

Io sì. 

Eterosessuale, donna di trentasei anni negli anni ‘20 del 2000. 

Eppure a scrivere questa frase è un ragazzo, omosessuale nel 1889.

Ma voglio smettere subito di parlare per “etichette”.

D’altronde colui che ha scritto le parole qui sopra non ha neppure nome. 

Lui è Anonimo e le sue sono le “Confessioni di un omosessuale a Émile Zola”.

Essendo io, sempre più a contatto con il mondo dei libri, dell’editoria, degli autori e dei festival letterari come la mia amata Fiera del libro di Argonautilus, sento spesso parlare di narrazione, di tecniche di narrazione. Di trame, schemi, regole per confezionare un romanzo che sia bello, ma anche appetibile come prodotto commerciale, giustamente.

La giovanissima casa editrice Wom, partner della Fiera, fa però qualcosa in più, a parer mio.

Lascia di stucco.

Questa, di Anonimo, è una lettera a cuor scoperto, pubblicata integralmente per la prima volta in italiano.

Scritta divinamente, si fa leggere in modo travolgente dall’inizio alla fine. Non c’è mistero, non c’è suspense, non una scaletta che abbia inizio, svolgimento e via discorrendo. 

Ad attrarre in modo così spudorato è la sincerità disarmante dell’autore. Una richiesta d’aiuto, la necessita irrefrenabile di mettere nero su bianco la natura dell’essere, la voglia di capire e insieme di spiegare.

Il soggetto, passatemi il termine, è un giovane italiano benestante, appassionato alla bellezza. 

“Mi piace tutto ciò che è bello, e quasi nulla, in ogni genere, è abbastanza bello ai miei occhi, tanto amo quel che è eccezionale, ricco ed elegante. Ho fabbricato con l’immaginazione palazzi più bello di tutti quelli che esistono, stracolmi di opere d’arte scelte tra tutti i capolavori del mondo intero. […] Ai miei occhi la bellezza rappresenta tutto, e tutti i vizi, tutti i crimini mi sembrano da lei giustificati.”

Egli scrive a Émile Zola offrendo se stesso e la sua esperienza personale come figura da aggiungere a “quella galleria di tipi che sono i Rougon-Macquart: un protagonista omosessuale”.

Ma la sua sincerità diviene un’arma a doppio taglio. È troppo, perfino per lo scrittore francese, che affida “Le Confessioni” al medico Geroge Saint-Paul, alias Dottor Laupts.

Così, questa lettera spassionata viene sì pubblicata ma come “caso di perversione sessuale”. 

Quello che arriva a noi oggi però è un libro di 148 pagine che “sono al contempo un romanzo, una testimonianza e un documento unici sul coraggio di un uomo che denuda la propria anima di fronte a una società che non riconosce le singolarità che la costituiscono. Una rivendicazione alla sovranità dei corpi, al dovere di goderne, alla tutela di ogni differenza – un messaggio ancora oggi di profonda attualità”.

Non saprei dirlo meglio.

(P.s.) Personalmente ho adorato l’irriverenza di Anonimo quando parla del suo ego.

“Mi sembra sempre di aver finito e trovo ogni volta qualcosa da raccontarle. Del resto mi piace talmente parlare della mia personcina che non smetterei di evocare la mia immagine guardandomi qui come in uno specchio. Non penso ci si possa mai stancare di parlare di se stessi e di studiarsi nei minimi dettagli, soprattutto se l’essere che la natura ha forgiato è tanto eccezionale quanto lo sono io. Penso davvero che dopo tutto ciò che le ho scritto dedurrà il resto del mio carattere, delle mie idee e anche delle persone che mi circondano, ma siccome questo mi diverte enormemente, vado avanti ancora per un poco, più per me che per lei”.

(P.p.s.) E non posso che sentirmi empaticamente risoluta insieme a lui quando infine dice: 

“Ah Signore! Sentirsi diverso rispetto a tutti gli altri è talvolta una soddisfazione. Oramai so ciò che sono e ciò che voglio. Tale sono nato, vivrò e tale morrò.”

©Erika Carta

La felicità non è un caso

La felicità non è un caso

Non a caldo. A caldissimo.

Anche perché i pensieri nati in questa settimana hanno preso la loro forma di pari passo con le emozioni e i giorni. 

E non vi è alcuna necessità di un tempo fermo per raccontarli.

Se devo scegliere un aggettivo per descrivere questa Fiera del libro, arrivata alla sua sesta edizione, me ne viene in mente solo uno, sopra ogni altra parola:

EROICA.

Dal 2016, con “La cultura al Km 0”, Argonautilus pianta semi nel territorio.

Questo, comincia a essere un raccolto soddisfacente, nonostante si operi talvolta in mezzo a sterpaglie che crescono in terreni perigliosi e ostili. 

E no, non lo dico io, soltanto perché lo vivo in prima persona. 

In questi giorni sono stata specchio di sensazioni altrui. 

Ed è stato meraviglioso e gratificante.

La Fiera del libro è ancora una scommessa stravinta di fronte a scelte infelici e coraggiose.

“Il cambiamento” che, più spesso di quanto vorremmo fa paura, “dovrebbe invece essere vissuto sempre come qualcosa di positivo” come ha detto l’ospite Riccardo Cavallero (SEM edizioni) alla tavola rotonda su “La resistenza del libro”, uno dei svariati momenti di discussione e riflessione tra operatori del settore e il pubblico. 

Ed è bene che questo concetto riesca finalmente a far breccia anche nella mia di testa.

Sono stati sei giorni concitati e concentrati. Una Fiera del libro espansa tra Iglesias, Portoscuso, Gonnesa e Zeddiani, con un programma ricchissimo di eventi che ha il suo “dietro le quinte” lungo un anno. E anche di più, se soltanto si provasse a immaginare quanta attenzione e cura ci vogliano per tessere sodalizi, rapporti professionali e relazioni sociali che perdurino nel tempo e negli spazi.

Il fatto che poi dagli incontri fioriscano meravigliose amicizie dipende unicamente dalle persone, dal loro esserci.

E proprio di persone e gratitudine parla Alosha (Giuseppe Marino) “il danzatore di parole”, che dalla Sicilia è arrivato a incantare una piazza della nostra Sardegna.

Conosco le mille e una sfaccettature che irradiano dai libri ma non avevo mai GUARDATO una storia prima d’ora.

Come ho scritto in un post su Facebook immediatamente dopo essermi ripresa dall’emozione: 

“Rosario Russo ha scritto un racconto.

Alosha l’ha danzato.

Io, l’ho visto”.

La musica che nasce unicamente dalle parole, il corpo che si muove al loro ritmo. 

Ci sarà sempre nuova bellezza da imparare.

La Fiera del libro è spazio di “rincontro”. 

È come darsi appuntamento ogni anno in piazza, in un parco, o in un’antica tonnara.

Librerie, biblioteche, case editrici, associazioni, festival gemelli che fanno il punto sulla situazione. Evolvono con essa, si contaminano di bene, contrastano tedio e ignoranze. Resistono. 

Seppur difficile è sempre confortante vedere come tutto questo attecchisca anche nei più piccoli, nei loro occhi curiosi… nelle domande che spiazzano. 

Una bambina di otto anni che, partecipe, legge con spontanea bontà i versi di Dante Alighieri e della sua Divina Commedia è stato uno dei momenti più felici. 

“La felicità è una scelta. Alice vi ha scelto”.

Le parole di una madre.  

Partecipare alla Fiera del libro, anche dall’interno, significa vivere su di un filo che tesse le sue reti anche quando i microfoni sono spenti.

Si continua a parlare di libri davanti a un calice di vino. Di trame, di progetti. Ci si confronta su idee diverse, opinioni, pensieri. Si riflette, si ride.

Credo che ridere sia una delle cose più concrete che si possano sperimentare.

Anche mentre si lavora.

E di questo, ringrazio soprattutto i miei compagni di viaggio. 

Argonauti, eroi, avengers. 

Ognuno di noi si fa in dieci per la riuscita di tutto questo. Impegno, passione.

E nel mentre scappa un’occhiata di intesa, un balletto, uno sfogo. Parole di incoraggiamento e conforto. Un sorriso, un regalo, un messaggio inopportuno, un fotomontaggio.

Ho capito che quandosietefelicifatecicaso non è un monito, un consiglio, un avvertimento prima che sia troppo tardi.

È un modo di essere.

E io, lo sarò. 

©Erika Carta

Uccidiamo lo zio

Uccidiamo lo zio

“Una certa alchimia propria all’isola, li aveva trasformati in una coppia di bambini reali, di bambini magici”. 

Trovo sempre incredibili e, forse, i più ben riusciti, quei libri che partono sotto classificazione di un genere e che poi dalla prima all’ultima pagina prendono una strada diversa e contorta, senza che il lettore se ne renda davvero conto. 

È questa l’impressione che mi ha suscitato “Uccidiamo lo zio” di Rohan O’Grady.

Il titolo la dice lunga. 

Sia ben chiaro: ogni riga è impregnata di “black humor”, sembra un “giallo” alla vecchia maniera. Ma non soltanto. 

Tutto il romanzo, nel complesso, è come una vacanza estiva, pausa dall’inverno, una bolla dove si intessono rapporti sempre più fitti al ritmo tra il calar del sole e il sorgere d’ogni nuova alba.

Dove parlare di bugie, violenza psichica, ricatti morali e morte non è poi così tragico.

Strano vero?

Ma questo è l’effetto. 

Perché i protagonisti sono due marmocchi, Barnaby Gaunt e Christie Mcnab che per motivi diversi giungono su un’isola tranquilla, pacata e ordinata, dove non succede mai niente, come in tutte le isole, finché non arriva qualcuno a smuovere le acque, a togliere le  maschere, a mescolare le carte nel mazzo.

Eppure è la loro naturalezza bambina a rendere tutto così scorrevole e accettabile. Perfino quando si tratta di commettere un omicidio premeditato!

Il nemico? Uno zio cattivo che per primo e con una ferocia subdola e inaudita mira a eliminare l’ultimo ostacolo che lo divide da una cospicua eredità. 

La penna di O’Grady sviscera però nella quotidianità del racconto, tantissime sfaccettature della mente umana(e non solo), con particolare attenzione ai rapporti tra adulti e bambini, troppo spesso flebili voci mal interpretate, non udite o meglio… non ascoltate. 

Parrebbe un ritmo lento, sonnacchioso, invece ci si ritrova travolti da un’inspiegabile allegria e nello stesso tempo dalla difficoltà di interrompere la lettura, come spiati di continuo da un paio d’occhi sinistri. 

Divertente e magico, “Uccidiamo lo zio” è un romanzo del 1963. Rohan O’Grady è in realtà June Margaret O’Grady Skinner, scrittrice sottovalutata che nel 2010 prende nuova vita con la ristampa del romanzo da parte della casa editrice Bloomsbury e che a detta di Donna Tartt, era già allora “molto in anticipo sui tempi”.

Pubblicato per la prima volta in Italia, grazie alla WOM, (acronimo di Word Of Mouth) giovanissima casa editrice che incappa accuratamente su gioielli letterari e che, a parer mio, rende giustizia alla bellezza. Sia essa delle immagini, delle parole scritte o raccontate a voce. Dell’interazione.

E che a una velocità disarmante ha già piantato radici nel cuore di librai, lettori e sostenitori della cultura. Quelli pazzi.

Quelli che…

“stanno spesso in un cantuccio, all’ombra della propria lampada, assorti nel silenzio e in ascolto della cantilena della propria lettura, mentre fuori, la classe dei mercanti e dei guerrieri, degli arrivisti e dei capibanda, degli strilloni e degli arruffapopoli, fabbricatori di best-seller, si scannano e si divorano gli uni con gli altri, mentre l’ombra del tempo è sospesa da un punto e a capo”.

Da https://www.womedizioni.it/la-casa-editrice/

Erika Carta