I miei amici, Cormoran e Robin

I miei amici, Cormoran e Robin

In quattro mesi ho letto “Dieci anni con Strike e Robin”.

È successo da Aprile, complice la giornata “Iglesias come Hogwarts” e la chiacchierata con Massimo Battista, sul suo libro “Collezionare Harry Potter e altri libri di J.K.Rowling”. 

Ancora qualche sera prima, alla cena informale insieme ad altri ospiti della Fiera del libro di Iglesias, Ele è praticamente corsa da me: “Non hai capito! Massimo mi ha detto che dobbiamo assolutamente leggere i gialli della Rowling sotto lo pseudonimo di Robert Galbright!”

E quando un lettore dice a un altro lettore… “assolutamente” non ci si può tirare indietro. Come fosse un patto tacito e segreto, una promessa da mantenere. 

Così è.

E qua devo subito mettere in campo la mia totale sincerità: non lo sapevo. 

O meglio, avevo forse sentito vagamente questa notizia ma temo di non averle dato peso.

Ricordo che dopo Harry Potter, lessi “Il seggio vacante” e ne rimasi piuttosto delusa. 

Ma Hogwarts e la sua magia avevano appena scavato e insieme riempito tutto un mondo dentro di me e per lungo tempo non ci fu posto per null’altro.

Poi nel dolce amaro capodanno del 2020 con il coprifuoco alle dieci e a letto poco dopo la mezzanotte lessi il mio primo libro del nuovo, atteso anno: “L’Ickabog”. 

E tornai a innamorarmi di lei.

Così fu per “Il maialino di Natale”.

La J.K. Rowling che conoscevo. 

Quella che dietro ogni grande storia, ogni piccola parola, nasconde un significato che diventa tuo per forza. Chiunque tu sia. 

Qualche giorno dopo la Fiera, sono finita nell’abbraccio della Libreria Mondadori, da Stefy e Lella e il caso ha voluto che avessero il secondo libro di questa serie di gialli di Robert Galbright: “Il baco da seta”.

Titolo accattivante, trama fitta di misteri, indagini, messaggi subliminali legati a scrittori e case editrici, truculenti omicidi che ho buttato giù solo per loro… Cormoran Strike e Robin Ellacott. 

La mia follia nuova di zecca, la mia rovina. 

Tra ordini e regali sono arrivata al punto in cui mi trovo adesso. 

Luglio di un’estate che non è estate e sei libri, su una mensola dedicata, che in questi mesi hanno completamente assorbito la mia attenzione di lettrice. L’ultimo, il settimo, è in lettura. Ne scrivo ora perché credo che una volta finito dovrò fare i conti con un po’ di vuoto.

Solitamente leggo vari libri in contemporanea.

Robert Galbright mi ha fatto riscoprire la possibilità che qualche volta, semplicemente, non è fattibile. Non può funzionare. 

E ora vi spiego il mio perché.

Li avrei letti con lo stesso trasporto se non avessi saputo che a scriverli è stata la mia Regina J.K. Rowling? Li avrei letti?

Non lo so.

Quello che so è che, avendo questa consapevolezza, l’ho riconosciuta dalle prime pagine. L’ho sentita nelle minuziose descrizioni di ogni cosa. I luoghi, che pare di avere davanti, dentro, dove sembra di camminarci, posti a cui appartenere. 

Le trame zeppe di dettagli che possono sembrare insignificanti ma che alla fine si incastrano alla perfezione, srotolando sempre il bandolo della matassa.

Ma soprattutto, i personaggi.

La Rowling, se proprio vogliamo continuare con la sincerità, ha un po’ la pecca di essere ripetitiva. Difetto che si trasforma in pregio quando cominci a capirne il perché.

E lo fai, collegandoti inevitabilmente alla storia di Harry Potter… e di Hermione, Ron, Silente, McGranitt, Sirius, Piton e via discorrendo.

Questi personaggi, che sono entrati nell’immaginario collettivo, ne sono anche usciti… per viverci a fianco. 

Non possiamo dire il contrario!

Sappiamo tutto di loro, ne facciamo spesso riferimento quando accade qualcosa nella nostra realtà.

E così è per i miei nuovi amici, Cormoran e Robin, appunto. 

Li descrive in continuazione, tanto da imparare a memoria che lui, corporatura da ex pugile, naso storto, capelli che sembrano “peli di pube” e lei capelli biondo rame, occhi grigio azzurri; oppure che a lui tira il tendine del ginocchio alla base del moncone perché ha perso una gamba quando è saltato in aria nell’esercito e lei si sente sminuita quando sta con Matthew ma è lui ad esserle rimasto accanto dopo quello che le è accaduto all’università.

Ed è questo: un attimo prima te li sta appena presentando e l’attimo dopo hai letto millemila pagine e li conosci intimamente.

Ti attacchi alle loro vite, ai pensieri, ai luoghi che frequentano, Denmark Street, il Tottenham e vuoi sederti con loro a bere una pinta di Doom bar e un bicchiere di vino rosso. E prendere la brutta abitudine di fumare Benson & Hedge e bere il the a ogni ora, forte, ambrato… del colore giusto come solo Robin lo sa fare.

Eccolo l’arcano segreto, quello per cui non so se li avrei letti altrimenti… ma li ho letti.

Perché li ha scritti lei. 

Robert Galbright è J.K. Rowling. 

Mi basta e avanza e questa è la sua grandezza: prendere un bel pezzo di qualche suo mondo e donarlo per intero a chiunque legga le pagine dove, con magia, lo ha trasposto.

©Erika Carta

Le streghe

Le streghe

Sono sicuro che, leggendo la mia storia, strillerete di paura. Pazienza. Bisogna pur dire le cose come stanno.

La bambina lettrice che è in me sta scalpitando.

La vedo seduta, stringere uno dei suoi libri preferiti, “Le streghe” di Roald Dahl, e sbattere i piedi.

No no e no.

Ed è da lei che vi farò chiedere: ma cosa state combinando? 

Perché me la ricordo molto consapevole, quella bambina che assimilava con purezza i messaggi in fondo ai libri. E li comprendeva, poi.

Proprio grazie a quella magia, alle parole che  già leggeva e già condivideva, aveva ben chiaro cosa fosse giusto e cosa sbagliato fuori dai libri. 

Certo, la fantasia poi faceva il suo beato corso, come per esempio guardare il viso di una donna e cercare di capire se avesse  “le narici un po’ più grandi del normale, con il bordo roseo e leggermente incurvato, come quello di certe conchiglie”.

Al tempo, credo di averla individuata una strega. E tutt’oggi, sono abbastanza sicura di non essermi mai sbagliata.

Mi chiedo quanto ancora potrà allargarsi il baratro in cui ci siamo gettati a un certo punto della nostra esistenza in società. 

Brulicanti in questo buio tondo, i passi meccanici, gli occhi chiusi. A far finta di spiegare le cose e invece coprirle sotto montagne di perbenismo nocivo.

Un po’ del senso critico che appunto mi si è formato tempo addietro, mi ha fatto domandare se siamo noi a esser cresciuti sbagliati e ora sbagliamo a indignarci così tanto.

No.

Perché i bambini, anche quelli di oggi, le cose brutte le vedono come le vedevamo noi, insieme a quelle belle. 

E cancellarle dai libri li renderà soltanto più isolati e indifesi. Senza un riscontro, senza parole non tanto per dire, quanto per capire.

Senza confronto, instradati in una via come se fosse facilmente percorribile, come se fosse l’unica possibile.

Magari.

Già, la nostra generazione è alle prese con un carosello di disillusioni che la metà basta, non possiamo accettare che ci venga estirpata pure la cultura che ha concorso a definirci.

Come glielo raccontiamo se no, ai “prossimi grandi” chi siamo stati, perché ora siamo così e che ci impegneremo, insieme a loro, a divenire?

Con quali parole se ce le togliete? 

Tesoro mio”, disse infine la nonna ”sei sicuro che non ti dispiace essere un topo per tutto il resto della tua vita?”
“Sicurissimo” dissi. ”Non importa chi sei né che aspetto hai. Basta che qualcuno ti ami.

©Erika Carta

Cuori selvaggi e Meraviglia

Cuori selvaggi e Meraviglia

Il salone non ha un pubblico. Il salone ha una comunità.”

Nicola Lagioia, Direttore Editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino.

Io sono uno dei centosessantottomila e settecentotrentadue cuori selvaggi che, dal 19 al 23 maggio, si sono incrociati sotto e oltre il cielo del Lingotto.
Ho macinato chilometri dentro questa comunità.
Un battito dopo l’altro a distanza dalla paura.

Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo.
Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura
.”

Chandra Livia Candiani

A proposito di meraviglia.
C’è un motivazione se la mia esperienza al Salone Internazionale del Libro di Torino, si compie nuovamente, per la terza volta.
Questa motivazione si chiama Argonautilus.

Argonautilus, l’Associazione Culturale che dal 2015 lavora ogni giorno per fare e diffondere cultura, organizzando la Fiera del Libro e la Fiera Off a Iglesias, Portoscuso, Gonnesa e da quest’anno anche a Musei, Villamassargia e Domusnovas.
L’Associazione che ha al suo interno una Spa dei libri, lettori ad AltaVoce e un Circolo Letterario con gruppi di lettura che crescono nel tempo e nello spazio.
Una promessa sancita nel Patto di Lettura alla Fiera del Libro, nel 2018.
Il nodo di una rete che oggi si chiama Rete PYM e che sabato, 21 maggio, ha portato il suo contributo alla comunità del Salone del Libro, con l’evento “Fiere e Festival del libro: una leva strategica di sviluppo dei territori”.
Insieme a Eleonora Carta e ai rappresentanti delle Istituzioni del Comune di Iglesias, l’autore Marco Belli, Direttore Artistico di Elba Book Festival; Manuel Figliolini in rappresentanza del Festival Giallo Garda e Luca Occhi di Officine Wort.
Ultimo gemellato della Rete, anche il Microfestival delle Storie.

In anteprima assoluta, è stata presentata la locandina della VII^ Edizione della Fiera del libro di Argonautilus che si terrà dal 29 Settembre al 4 Ottobre, illustrata da Daniele Serra e che ha come tema unificato con i Festival gemelli, “La Meraviglia”.

È stato un incontro partecipato che ha messo in parole l’importanza di collegare energie, risorse e passione, necessarie e urgenti, per far sì che gli intenti condivisi dalla Rete si diffondano dentro e fuori i territori.
D’altronde, a far parte di questa comunità, sono anche tutti quei soggetti che al libro sono legati da vicino: autori, editori, biblioteche, librerie, scuole, lettori.
E oltre alla valenza sociale ed economica, non ci si può proprio esimere dal parlare di ricchezza personale.
Quella di cuore.
Come ha sottolineato il giovane scrittore, Matteo Porru, viaggiare per prendere parte a un evento culturale, ti permetterà sempre di portare un po’ di casa in partenza e pezzi di mondo al rientro.
È un circolo.
E fa un bene inimmaginabile.

Alla domanda: “Cosa ti porti a casa da questo Salone?” Dunque rispondo che, a casa mia, porto libri, dolore ai polpacci, sorrisi nuovi e abbracci noti, paure limate e una felicità selvaggia.

E poi, comunque, anche un banner:
“Salone Internazionale del Libro Torino.
13
ARGONAUTILUS.
La meraviglia.”

© Erika Carta

Pagina FB di Argonautilus OSCURATA

Dal giorno 08 luglio la pagina Facebook dell’Associazione Argonautilus è stata oscurata e i profili personali di tutti gli amministratori della pagina disabilitati, senza motivazione né occasione di contraddittorio. 
L’occorrenza rappresenta un grave danno in termini economici e di immagine per Professionisti del settore, che a mezzo Facebook lavorano o comunicano la propria attività lavorativa. Disabilitare un profilo personale implica infatti quale diretta conseguenza l’oscuramento di tutte le pagine da questo generate. 
Tutti i professionisti che collaborano con Argonautilus si sono quindi visti oscurare anche le proprie pagine lavorative personali. E come conseguenza anche le pagine del Festival Connessioni di Gonnesa (in corso) e del Big Blue Festival di Portoscuso (che si terrà a breve) sono state oscurate. 
L’associazione Argonautilus e tutti i soggetti coinvolti hanno attivato le procedure necessarie per giungere al ripristino degli account e all’accertamento delle eventuali responsabilità. 
Nell’attesa, la comunicazione dei nostri eventi continua sul sito www.argonautilus.it e sui nostri canali Instagram Twitter e LinkedIn. 
L’associazione Argonautilus tiene a ringraziare tutti coloro che in questi giorni ci hanno manifestato solidarietà, offerto supporto e aiuto, dimostrato grande affetto e stima per tutto il lavoro svolto in questi anni. 

Maicolgècson, una storia di scoperta e crescita

Maicolgècson, una storia di scoperta e crescita

di Maria Francesca Carboni

Ci sono più momenti nella vita in cui potremmo essere chiunque. Uno di questi è la prima infanzia. E subito dopo l’adolescenza. Anche se le ricerche scientifiche dicono che questa capacità di cambiare per diventare chi vorremmo essere, in realtà, duri tutta la vita e dipenda dalla plasticità del nostro cervello e dalla ricchezza delle esperienze vissute. 

Paola Soriga, con il suo romanzo Maicolgècson (Mondadori), sembra voler parlare di questa speranza: il costante mutamento che, infine, approda alla scoperta di sé. Il cambiamento in questo caso riguarda le imprese di una bambina che diventa ragazza, adolescente. E durante la crescita scopre la sua strada, fra le infinite possibili. Più di un destino, la storia di Remigia, in arte Maicolgècson, è la costruzione corale di un cammino condiviso. 

I suoi maestri sono star della musica. Prima di tutto Michael Jackson, a cui deve il nome, per via di quei capelli ricci, fitti fitti, come lana d’acciaio. E Maicolgècson è “su nomingiu”, il soprannome, che zio Stefano le dà appena nata. 

Poi ad ispirare Remigia durante tutto il racconto sono i suoi parenti, le nonne, gli zii e le zie, i cugini. Ma soprattutto i suoi “didini”, il padrino e la madrina del battesimo, figure eclettiche, fuori dagli schemi, che di quel potenziale vedono tutti i possibili risvolti, come dei veggenti. E per questo lo coltivano, lo stuzzicano con affetto. 

Mike, così si farà chiamare Remigia dai suoi amici, ad un certo punto, la strada del suo futuro la intravede. Vuole cantare. E poi vuole ballare. Lo scopre crescendo. E anzi forse vorrebbe tutto: ballare e cantare come se fossero un’unica cosa.

Paola Soriga racconta la storia di una famiglia uguale a tante, ma diversa nel modo singolare di vivere la quotidianità. Le storie del vicinato allargato si intrecciano con quelle di Remigia bambina e poi adolescente. Ci sono i parenti stretti, i parenti che abitano in “continente” e tornano solo per le vacanze estive. Poi i vicini di casa, gli amici dell’estate. I ragazzi grandi che vanno e vengono, fidanzati e fidanzate dei suoi padrini di battesimo. 

La finestra da cui Remigia ammira il mondo contempla orizzonti vicini e lontani. I più noti, quelli della sua famiglia, sono i loggiati delle case campidanesi in cui studia canto o gioca con i cugini e cugine a casa dei nonni. I cortili e giardini della campagna cinta da filari di fichi d’india e frutteti. Il roseto che il padre di Remigia coltiva per la madre della ragazza. I palazzi bianchi di Cagliari, il mare piatto e limpido come se qualcuno lo avesse pulito con il Vetril. Il dialetto sardo campidanese che segna i confini dell’esperienza familiare di Remigia e diventa pratica, consuetudine, azione, un modo di essere e agire difficile da restituire in altre lingue.

Invece gli orizzonti lontani sono tracciati dai suoi idoli, dai cantanti a cui si ispira: Eros Ramazzotti, Laura Pausini, i Queen, I Nirvana. Sono i mondi musicali conosciuti grazie a zio Stefano (e non solo). Ma sono inoltre le esperienze di vita che varcano la pianura del Campidano e arrivano addirittura a Londra, dove abita la didina Gina.

Remigia, quindi, cresce e scopre l’amicizia, l’amore, le delusioni. E più di tutto sé stessa. Rivendica con tenacia quello che le appartiene: la sua vita, così come lei è riuscita ad immaginarla fino ad allora. Tanto che il desiderio infine prende forma. Perché Remi – così si farà chiamare arrivata alle superiori – continuerà a danzare e cantare, orgogliosa dei suoi talenti. 

Maicolgècson di Paola Soriga racconta una storia particolare e universale allo stesso tempo. Questa storia potrebbe essere ambientata ad Uta, Assemini, Siliqua perché “i paesi si somigliano, forse in tutto il mondo e certo qui da noi”, come dice l’autrice. Quindi se le vicende raccontate sono certo particolari, ciò che di universale rimane è l’intrecciarsi dei sentimenti intensi, a volte contrastanti, estremamente umani, che Remigia restituisce attraverso i suoi occhi, facendosi portatrice della sua storia e di quella degli altri.

A Carlos Ruiz Zafón

A Carlos Ruiz Zafón

Non è semplice spiegare il legame che si crea tra un libro e il suo lettore. 

Chi parla questa lingua codificata, sa bene cosa intendo.

E immancabilmente, la persona che il libro l’ha scritto, entra di diritto in quella cerchia di amici stretti, strettissimi, che non c’è bisogno di essersi mai incontrati per aver speso insieme un tempo che non ha eguali.

Ecco perché, quando giri l’ultima pagina, senti che quell’amico ti mancherà da subito e che, allo stesso tempo rimarrà per sempre con te.

“Non so dire se dipese da queste riflessioni, dal caso o dal suo parente nobile, il destino, ma in quell’istante ebbi la certezza di aver trovato il libro che vi avrei adottato, o meglio, il libro che avrebbe adottato me. Sporgeva timidamente da un ripiano, rilegato in pelle color vino, col titolo impresso sul dorso a caratteri dorati. Accarezzai quelle parole con la punta delle dita e lessi in silenzio.

JULIÁN CARAX 

L’ombra del vento”.

È di pochi giorni fa la terribile notizia della prematura morte di Carlos Ruiz Zafón, lo scrittore spagnolo che ha portato tutti noi a camminare in una notte in cui “i lampioni delle ramblas impallidivano accompagnando il pigro risveglio della città, pronta a disfarsi della sua maschera di colori slavati”. 

L’uomo che ci ha fatto fermare “davanti a un grande portone di legno intagliato, annerito dal tempo e dall’umidità […] il cadavere di un palazzo, un mausoleo di echi e di ombre […] un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalla geometria impossibile”.

Il Cimitero dei Libri Dimenticati.

Mi vengono i brividi ogni volta che lo leggo, lo sento, ne parlo. Come fosse la prima volta, quando piena di meraviglia lo scoprivo tramite gli occhi di un quasi undicenne Daniel Sempere.

Davvero mi riesce complicato trovare parole per dire in quanta magia mi sia imbattuta, percorrendo queste pagine. 

E non si tratta solo di un libro che parla di libri o di storie avvincenti e misteri da svelare. 

Zafón è tanto di più.

In tutte le sue opere, ogni personaggio dismette tali abiti, diventando semplicemente una persona. Così ben caratterizzata, così umanamente sfaccettata, che è impossibile passare oltre. 

“Non sapevo ancora che, prima o poi, l’oceano del tempo ci restituisce i ricordi che vi seppelliamo. Quindici anni più tardi, mi è tornato alla mente quel giorno. Ho visto quel ragazzo girovagare nella bruma della stazione Francia e il nome di Marina si è infiammato di nuovo come una ferita recente. Tutti custodiamo un segreto chiuso a chiave nella soffitta dell’anima. Questo è il mio”. 

Come Marina, fiamma di luce in un paesaggio tetro e sinistro.

La smania di leggere fino all’ultima parola freme chiassosa eppure ogni vita raccontata lì dentro, ogni legame, ogni luogo, ti si attaccano addosso con lentezza, in profondità.

“Possedeva uno strano fascino che seduceva in modo lento ma inesorabile”.

Storie di coraggio, storie dove l’amore illumina costantemente il percorso e l’amicizia tiene in vita società segrete, anche dopo che si sciolgono, come la Chowbar Society.

“Lì eravamo cresciuti senz’altra famiglia che noi stessi e senza altri ricordi che le storie che ci raccontavamo intorno al fuoco a notte fonda, nel cortile della vecchia casa abbandonata che sorgeva all’angolo tra Cotton Street e Brabourne Road, un casermone in rovina che avevamo ribattezzati il Palazzo della Mezzanotte”.

I libri di Carlos Ruiz Zafón sono una scossa elettrica la prima volta che ti imbatti in loro. Scrigno di meraviglie a cui tornare infinite volte sentendosi come a casa di un amico fedele.

Le parole sopravvivono a ogni male del mondo, creando unioni profonde che vanno oltre i confini.

L’unico pensiero che si affaccia alla mia mente è questo, e te lo dedico, amico:

“Vivrai per sempre. Grazie.”


Chi era Gianni Rodari? Uno sguardo alla sua biografia.

Chi era Gianni Rodari? Uno sguardo alla sua biografia.

Sulla riva settentrionale del Lago d’Orta, in Piemonte, sorge Omenga, il paese che ha dato i natali a Gianni Rodari.
Ho sempre adorato questa espressione: immaginare i luoghi e le quattro mura dove uno scrittore ha passato le sue vigilie più belle, germogli di fantasia.

“Ritorna ogni anno, arriva puntuale
con il suo sacco Babbo Natale:
nel vecchio sacco ogni anno trovi
tesori vecchi e tesori nuovi […]”

È il 23 ottobre 1920 quando Giovanni Rodari apre gli occhi sul mondo.
Nato da Giuseppe e Maddalena Aricocchi, si forma alla scuola elementare di Omegna per sole quattro classi.
Un lutto in famiglia comporta il trasferimento in Lombardia.
È il papà ad andarsene a causa di una broncopolmonite, in seguito al salvataggio di un gatto sotto un violento temporale, così si racconta.
È curioso come “il gatto” torni spesso nelle sue opere, forse per esorcizzare l’evento tragico che lo segnò da bambino.

“Sì, signora maestra,
mi sono un po’ distratto:
ma per forza con quel gatto,
con l’inverno alla finestra
che mi ruba i pensieri
e se li porta in slitta
per allegri sentieri”.

Nel 1937 si diploma come maestro alle magistrali e pur iscrivendosi dall’Università non completa gli studi, abbandonando il mondo accademico dopo pochi esami.
Altri tempi, è vero, eppure la dimostrazione che il genio, la volontà e la passione possono prosperare anche fuori dalla mera formalità di un documento cartaceo che definisce “dottore”.
Maestro di scuola, e di vita, perché non è da tutti ammettere di imparare dagli stessi bambini a cui insegna, soprattutto nel campo della fantasia.

Nel dicembre del 1943 viene richiamato alle armi dalla Repubblica Sociale Italiana ma ben presto si unisce alla Resistenza Lombarda, avvicinandosi al Partito Comunista Italiano.
Innumerevoli, le parole spese per la pace.
Nel 1953 sposa Maria Teresa Ferretti dalla quale avrà una bambina, Paola.
Nel 1970 vince il premio Hans Christian Andersen.
Florida è la sua attività come giornalista: occhio attento e delicato a quello che succede nel mondo e un’immensa maestria nel saperlo riportare con un linguaggio chiaro, semplice e profondo, fruibile da tutti… bambini e adulti.
Il corpo di Gianni Rodari lascia questo mondo il 14 Aprile 1980.
Scrittore, poeta, pedagogo senza tempo, con l’umanità e l’umiltà che lo hanno contraddistinto e che rimangono eco tra le parole delle sue opere.

E dopo questo fugace sguardo nella vita di un uomo che io conosco grazie alle mie maestre, nel prossimo articolo la parola andrà proprio a loro: insegnanti che da sempre lo scelgono per trasmettere il sapere.
Continuate a seguirci!

©Erika Carta

#FieraOFF Doppio appuntamento

Venerdì 9 Marzo

Antonio Maccioni alle 18.00 sarà ospite della StoryTelling Libreria Sala da Tè di #Gonnesa, con il suo nuovo saggio “101 perchè sulla storia della Sardegna che non puoi non sapere”, Newton Compton Editori.

 

Sabato 10 Marzo

Antonella Serrenti con il suo toccante romanzo “Una giornata dall’aria antica” Graphe.it Edizioni alle ore 18.00 presso la Sala Consiliare del Comune di San Giovanni Suergiu.

Leggere – Report Istat 2016

Leggere – Report Istat 2016

Abbiamo smesso di leggere anche i dati sulla Lettura. La fulminea reattività di chi scrive sul web, diffonde un commento del commento di un dato non letto. Proviamo quindi a leggerlo insieme, almeno per gli aspetti più significativi.

Il report ISTAT pubblicato il 27 dicembre 2017 sul tema: PRODUZIONE e LETTURA di LIBRI in Italia (anno di riferimento: 2016) è un .pdf di 23 pagine più le tavole.

Per una migliore e più completa visione dei dati, si rimanda al sito Istat http://www.istat.it/it/archivio/207939 dove si possono trovare il testo integrale, la nota metodologica, e tutte le 63 tavole della statistica.

 

PRODUZIONE

Breve visione dello stato della produzione. La produzione libraria in Italia è stata caratterizzata da un andamento opposto tra il numero di titoli pubblicati e la quantità di copie stampate: i primi sono aumentati del 20% dal 1996 al 2016, mentre la tiratura si è ridotta di oltre la metà.

La popolazione di riferimento* è composta da tutte le case editrici italiane e gli altri enti, sia pubblici che privati, che svolgono attività editoriale. Alla popolazione oggetto di rilevazione, composta complessivamente da circa 2.000 editori, appartengono anche le aziende che stampano libri e pubblicazioni come attività secondaria e che sono presenti, seppure in modo non continuativo, sul mercato editoriale.

(* l’insieme dei portatori potenziali, ma concreti, del Carattere statistico indagato da una Indagine statistica)

È bene quindi ribadire che le opere pubblicate a cui ci si riferisce in questa statistica non sono solo i “libri da libreria”, ma anche tutte le opere pubblicate da enti pubblici e privati che non svolgono attività editoriale a titolo principale.

Produzione, dato Italia, Regioni, Sardegna:

Opere pubblicate e tiratura per genere e provincia di pubblicazione – Anno 2016 (tiratura in migliaia)

 

Nel 2016, i circa 1.500 editori attivi censiti hanno pubblicato 61.188 titoli e hanno stampato quasi 129 milioni di copie (circa due copie per ogni cittadino italiano); in media, sono state stampate poco più di 2 mila copie per ciascun titolo pubblicato.

(In media la percentuale di chi dichiara di aver letto un libro in 12 mesi nelle isole è del 30,7%,  in media nella regione Sardegna è del 45,7% e la media nella Regione Sicilia è 25,8)

Titoli prodotti +20%      Copie stampate -50%

LETTURA

 

 

PERSONE DI 6 ANNI E PIÙ CHE HANNO LETTO ALMENO UN LIBRO PER MOTIVI NON SCOLASTICI O PROFESSIONALI NEI 12 MESI PRECEDENTI L’INTERVISTA PER REGIONE Anno 2016, per 100 persone di 6 anni e più della stessa regione

 

Disuguaglianze sociali, economiche e territoriali anche tra i lettori

Il livello di istruzione continua a essere un elemento fortemente discriminante nell’abitudine alla lettura, radicata soprattutto fra le persone con un titolo di studio più elevato: legge il 73,6% dei laureati (75,0% nel 2015) ma la proporzione si riduce già a poco meno di uno su due fra chi ha conseguito al più un diploma superiore (48,9% nel 2016; 50,2% nel 2015) per arrivare al 23,9% tra chi possiede al più la licenza elementare.
A livello territoriale, la lettura risulta più diffusa nelle regioni del nord-est e del nord-ovest, dove dichiara di aver letto almeno un libro oltre il 48% delle persone residenti (Figura 6 e Tavola 56).

Nel Sud, la quota di lettori scende al 27,5%, mentre nelle Isole si osserva una realtà molto differenziata tra Sicilia e Sardegna (25,8% di lettori rispetto a 45,7%). La tipologia comunale è un ulteriore elemento discriminante: risulta molto più diffusa nei comuni centro dell’area metropolitana, dove si dichiara lettore poco meno della metà degli abitanti (48,6%); la quota scende al 35,6% nei comuni con meno di 2 mila abitanti.

Al di là del contesto territoriale di appartenenza, la lettura si conferma un comportamento fortemente condizionato dall’ambiente familiare e la propensione alla lettura dei bambini e dei ragazzi è certamente favorita dalla presenza di genitori che hanno l’abitudine di leggere libri. Ad esempio, tra i ragazzi di 11-14 anni, legge il 72,3% di chi ha madre e padre lettori e solo il 33,1% di coloro che hanno entrambi i genitori non lettori (Figura 7 e Tavola 57).

Una famiglia su dieci non ha libri in casa

Nel 2016 circa una famiglia su dieci non ha alcun libro in casa, dato ormai costante da quasi un ventennio. Anche nei casi in cui è presente una libreria domestica, il numero di libri disponibili è molto contenuto: il 28,2% delle famiglie possiede non più di 25 libri e il 63,2% ha una libreria con al massimo 100 titoli.

Quasi il 25% ha in casa da 0 a 10 libri, di questi il 10% circa ne possiede 0

 

PERSONE DI 6 ANNI E PIÙ CHE HANNO LETTO ALMENO UN LIBRO PER MOTIVI NON STRETTAMENTE SCOLASTICI O PROFESSIONALI NEI 12 MESI PRECEDENTI L’INTERVISTA. Anni 2000-2016, per 100 persone di 6 anni e più

OVVERO: il 60% del campione dichiara di NON aver letto neanche un libro in 12 mesi

L’influenza dell’ambiente

Chi non legge non partecipa neppure alle attività culturali

 

Le motivazioni della non-lettura NON sono di carattere economico.

L’indagine nel suo complesso induce in modo naturale a una riflessione sul: Ruolo degli operatori culturali e sugli obiettivi dell’attività culturale

Emerge la necessità di:

  • Più Eventi culturali
  • Più Autori nelle scuole
  • Più Artisti nelle scuole
  • Più Biblioteche e più luoghi della lettura
  • Più Librerie

Maggiore è l’offerta e la qualità, migliori sono i dati relativi alla lettura e alla partecipazione alla vita culturale.

Gli eventi culturali hanno come obiettivo quello di accrescere il valore culturale di chi ne fruisce (come la scuola?)

Più ampia è la partecipazione meglio è, tuttavia le dimensioni della partecipazione non sono il fine (che resta la crescita culturale). 

 

Lo show dei numeri – i numeri degli eventi e i numeri dello show

«Se non si vede, sarà un successo». Questo lo spirito con cui è partita, in Francia, la grande offensiva del governo Macron sulla cultura, che sarà annunciata ufficialmente dal presidente a gennaio. Non si punta a iniziative a effetto ma a rivoluzionare il tessuto sociale francese dal basso e a esportare il modello in tutta l’Unione Europea.

  • Aumentare e migliorare l’offerta per i ragazzi
  • Partire dalla scuola (portando autori e artisti)

E poi?

  • In orari extrascolastici aumentare la quantità e qualità dell’offerta culturale nelle biblioteche e in altri luoghi di lettura
  • Aumentare fortemente lo scambio e la mobilità, anche sulle brevi distanze. Creare reti tra i comuni e tra le regioni, creare reti tra le manifestazioni culturali.

 Crediamo che anche in Italia queste possano essere le prossime sfide per tutti noi operatori culturali.

©ArgoNautilus