Un altro Natale

Un altro Natale


“Un altro Natale” è il titolo del libro edito da graphe.it, in questo 2021 per la collana di narrativa “Natale ieri e oggi”.

Un titolo dove la parola “altro” ha due connotazioni, come ha raccontato Roberto Russo della casa editrice.

 “Un altro Natale, che stress!” 

Oppure “Un altro Natale, e meno male!”

Personalmente propendo verso la seconda. A dicembre, come a maggio, a febbraio, a settembre.

Natale è uno stato d’essere.

Due storie, una vecchia e una nuova, che raccontano la fame.

Perché, sarà il primo vero freddo dell’anno, saranno i profumi intensi, sarà che vorremmo essere scaldati dalle luci colorate e dalle tovaglie rosse… ma a Natale la fame aumenta. 

Sia essa del cibo, come quella narrata da Ferdinando Paolieri nel racconto “Il Natale di Granfialunga” , o quella d’affetto raccontata da Susanna Trossero in “Tutti gli Alfredo del mondo”.

Avventura, rischio e riscatto per i Granfialunga sullo sfondo della campagna toscana negli anni 20. 

Maestria, giochi di parole e tenerezza per il protagonista della Trossero.

Filo conduttore: la speranza, quella che è difficile mantenere tutto l’anno ma che la notte di Natale torna viva, forte e chiara a farsi sentire.

E trovarla appagata dentro un libro fa star bene anche fuori.  

©Erika Carta

Il grembo paterno

Il grembo paterno


“…e l’acqua l’accarezzava perdonandole tutto, come solo prima di esistere succede, come solo nel grembo materno.

Nel grembo paterno.

Dove galleggiamo quando ancora non siamo successi, nella pancia delle donne, nella mente degli uomini che ci aspettano e che, se si perdonano di farci venire al mondo senza avercelo chiesto, in quei nove mesi devono per forza promettere a noi che tutto ci perdoneranno, che basterà l’amore, l’amore sistemerà sempre quello che sbagliano.

Almeno fino a quando non si sfascia: ma che si possa sfasciare, l’amore, le pance delle donne e le menti degli uomini incinte se lo devono dimenticare, altrimenti non potrebbero essere mai tanto pazzi da invitare un altro essere umano, che per di più dovranno sfamare loro, a partecipare a questo terremoto dove gli altri ci sono, poi escono a controllare i fari, poi non ci sono più e poi tornano o magari no – e chi lo sa cosa è meglio”.

Il grembo paterno è una lettera.

Lunga 223 pagine. 

Una lettera che tutti i figli rimasti figli vorrebbero ricevere. 

Un racconto, un fortissimo grido, vomito di parole.

Un’ammissione di responsabilità, un “perdonami per gli sbagli che ho fatto e che farò. Provo almeno a spiegarteli.” 

E tutte queste parole hanno sempre la sua voce. 

Chiara.

La riconosci, ti sembra di risalire a bordo dell’Arca senza Noè, di riprendere da dove “non ci eravamo lasciati”.

Di specchiarti nelle ferite. Sue, di tutti, mie.

Adele si mette a nudo. 

Nasce in una famiglia povera, i Senzaniente.

Che poi si arricchisce ma non sa che farsene di tutta quella ricchezza e di tutte quelle parole nuove. 

Che si siede attorno a una tavola degli anni novanta, con Gigi Sabani e Magalli in tivù, e poi il silenzio e le ingombranti presenze sotto le sedie.

Il grembo paterno racconta di una generazione che con quelle presenze ci va ancora a letto, ci si sveglia, se le porta in giro, dentro.

Che fa fatica ad abbandonarle, tanto ci son da sempre, che sembrano quasi rassicuranti. Casa, forse.

E parla anche di un coraggio tutto nuovo a cui vien voglia di credere. 

Il grembo paterno è una lettera d’amore.

Chiara Gamberale apre continuamente strappi dolorosissimi e poi ci soffia sopra parole.

Ci mette un cerotto su questo tempo malato. 

Se ne prende cura. 

Finché diventa abitabile davvero.

Casa, sì. 

“Io sono convinto che la generazione dei nostri genitori non abbia sbagliato con noi figli perché sbagliava. Tutti sbagliamo. Ma ha sbagliato perché non ci ha aiutato a interpretare quegli errori”.

E all’inizio e alla fine, io, me lo sono abbracciato questo libro.

©Erika Carta