Effetti collaterali

Effetti collaterali

Due cose mi sono bastate per comprare “Effetti Collaterali”, la raccolta di sei storie niure di Rosario Russo, edito da Algra Editore per la collana Sicilia Niura. 

Una è stata sentire come parla del mare.

L’altra è che, alla Fiera del libro, mentre una voce di donna dal terapeutico accento siculo leggeva le sue parole, io le vedevo grazie ad Alosha (Giuseppe Marino), il danzastorie di Sicilia che le ballava.

Ma non solo. Oltre a questo, dentro la mia testa si creavano in contemporanea immagini come se stessi leggendo le pagine da me.

Non so se sono riuscita a spiegarmi ma è difficile, perché è stata un’esperienza pazzesca.

Il libro di carta che ho tra le mani è la prova tangibile di tutto questo. Una sorta di memorandum della bellezza che ho vissuto.

I suoi racconti di genere sono come voci, finite e compiute, di un unica grande storia.

E che storia è questa?

È la storia di una Sicilia così come immagino sia.

Fatta di persone. 

Piena di mare, di cultura, del profumo di limoni, caffè e cartocciata di melanzane

Attraversata dall’arte, dalle parole di illustri scrittori. Dalla mafia, dalla vita e dalla morte.

Come ho potuto leggere nell’appassionata postfazione di Salvo Sequenzia, “Russo si interroga mettendo l’accento sull’impossibilità di spiegare il perché delle ragioni del male e della morte”.

È vero. 

Eppure il suo modo di narrare ha qualcosa di leggero. Che attenzione, non vuol dire superficiale. Anzi. Trovo sia un valore aggiunto. Il buio mitigato dalla bellezza del mondo, dal senso di appartenenza al territorio, alla città di Acireale, alle sue storie magiche. 

Dalla voglia di dircelo.

Leggero ma di una profondità sentita e contagiosa.

La scrittura di Rosario è asciutta, pungente, misteriosa.

I personaggi sembrano raccontarsi da sé, sono schietti, perfettamente delineati dal proprio parlare, muoversi, pensare.

E leggendo, io ho trovato il mio personale comune denominatore di queste sei storie nere: l’amore.

Si cunta ca u pasturi 

assai vuleva beni 

a Galatea, e pi idda 

assai ni visti peni

ma n’da l’occhi si vardavunu

di veri ‘nnamurati  

©Erika Carta

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